“Dobbiamo aver presente che un sistema educativo di qualità è una grande piattaforma – osserva Oliva – per far ripartire l’Italia e riagganciare il treno di uno sviluppo sostenibile. La ricetta per raggiungere indici medi europei non sta solo e tutta nei soldi”. “La scuola, da sola, fa fatica a cambiare: tocca alla politica – aggiunge – cambiare profondamente le regole del gioco in cui operano docenti e dirigenti. Qualche esempio: nella formazione e nel reclutamento degli insegnanti; nella costante valutazione degli apprendimenti degli studenti, con test nazionali dell’Invalsi; nell’incentivare la qualità e il merito.
Invece l’Università ha effettivamente bisogno di più risorse per diventare europea, e che le si riconosca autonomia ma si eserciti anche un forte controllo, dal centro, sui suoi risultati (attraverso il lavoro dell’Anvur, la nuova agenzia di valutazione dell’università e della ricerca). E altrettanto vale per la Ricerca, pubblica e privata che rispetto all’Europa è del tutto inadeguata”.
Alla vigilia dell’appuntamento, al quale sono attesi, tra gli altri, i ministri Profumo e Barca, Gianfelice Rocca, presidente del gruppo Techint si sofferma sul confronto con l’Europa.
“L’Italia è migliorata, certo, se guardiamo al decennio che abbiamo appena attraversato: nel 2000 gli italiani che si laureavano erano il 19%, nel 2010 il dato è salito al 32%. Ma l’Europa – fa notare – é passata dal 27% al 40% nello stesso periodo. E ancora i risultati dei test Pisa sulle competenze dei quindicenni sono sotto la media dei paesi Ocse. Altre differenze riguardano: la spesa totale per l’università (1% del Pil contro l’1.4% dell’Ue), gli investimenti in ricerca pubblica e privata (1.26% contro 2.06%) e il trasferimento tecnologico (la capacità di trasformazione della ricerca in brevetti che è quattro volte più bassa che in Germania). E dunque il sistema educativo italiano migliora ma i suoi indici non sono ancora europei”.
Secondo Rocca “il sistema educativo italiano, diversamente da quello tedesco, continua ad allontanare la prospettiva di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. In Germania il 7% della popolazione tra i 25 e i 34 anni ha un titolo di istruzione post-secondaria professionalizzante, giovani specializzati sulle professioni richieste dalle imprese. Questo tipo di laureati in Italia è ancora sostanzialmente assente (0.5%)”. (ANSA).
Pronta la dichiarazione di Francesca Puglisi, responsabile Scuola del Pd.
E’ piuttosto curiosa l’affermazione che la scuola italiana “non ha bisogno di più soldi (spendiamo nella scuola primaria 8.669 dollari per studente contro i 7.762 della media europea) semmai di nuove regole e modelli organizzativi”.
Se si fanno i conti, si scopre che l’Italia non spende di più di altri Paesi, anzi. Nel conto ci sono, da noi, gli insegnanti di sostegno, il cui costo in altri Paesi europei è a carico di altri ministeri e gli insegnanti di religione, che sono nominati dall’autorità ecclesiastica, ma sono pagati dalle casse dello Stato italiano.
La scuola italiana più che di nuove regole ha bisogno di certezze, di risorse e di organico, per dare finalmente attuazione all’unica vera riforma epocale, quella dell’autonomia scolastica. Con i docenti eternamente precari e le scuole senza soldi, regole e modelli saranno semplicemente esercizi di bella teoria.
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