Mi è parsa troppo polemica e non motivata la dura reazione, avuta dai colleghi, nel vedersi in busta paga, con il tanto atteso rinnovo contrattuale, un aumento, al netto, più o meno di trenta (denari) euro.
“Uno scandalo, una miseria, una presa in giro, un’umiliazione”.
Sinceramente quanto ci è stato dato lo trovo giusto, anche fin troppo eccessivo. Cinque o al massimo sei euro potevano bastare.
Poco dignitoso rapportare il valore del nostro lavoro allo stipendio e basarlo essenzialmente sul vile ‘metallo’.
Ci avevano forse promesso, al momento dell’assunzione, che saremmo diventati ricchi? Non ci avevano invece prospettano una vita professionale certamente dura, dai non grandi emolumenti (carmina non dant panem) ma dalle grandi soddisfazioni morali (e non economiche).
La scuola è la colonna della società, una delle radici, la più importante, da cui dare alle luce uno Stato sviluppato e ben organizzato, dedito al progresso continuo e diffuso, attento ai bisogni dei più fragili e desideroso di elevare, per tutti, la qualità della vita.
Se la scuola funziona e agisce correttamente, anche la società ne trarrà enormi vantaggi e diventerà un modello di vera civiltà.
Ma chi può donare ai questi insostituibile centri di cultura, crescita e formazione quella energia inesauribile per raggiungere i risultati auspicati?
Siamo noi, solo (o quasi) noi e dobbiamo andarne fieri di questo nostro imprescindibile protagonismo ed esserne giustamente orgogliosi.
Anche se spesso le Istituzioni non ci considerano (quasi, a volte, ci disprezzano), anzi proprio per questo, siamo consapevoli del nostro insostituibile apporto alla comunità e di quali prodigi con estremo e (si può dire) gratuito, costante, tenace impegno e disumana abnegazione riusciamo a compiere, con i pochi mezzi concessi dall’Alto.
E questa la nostra vera promozione, questa la nostra felicità, dinnanzi alla quale ogni materiale contrattazione non ha alcun valore. Essere formatori del domani è la più grande gioia e la maggior ricchezza che possiamo (noi pochi fortunati) avere. Una vera grazia ministeriale.
Meno ci daranno e più saremo portati (una vocazione innata, un volontariato estremo, una disposizione, psuedo-sadica – al martirio) a prodigarci, on tutte il nostro essere per formare donne e uomini capaci, competenti, sapienti e sempre solidali.
La coscienza di aver deciso, dopo attento discernimento, di immolarci per una causa altamente nobile che non ha prezzo, non può (che vergogna!) farci cadere nell’attaccamento meschino al vile denaro.
Son ben altri i valori da seguire e da trasmettere alle future generazioni.
Lo Stato conta su di noi e sulla nostra sobrietà. Non possiamo deluderlo e non possiamo deludere i nostri allievi esibendo ‘sfrontatamente’ un comportamento venale e diseducativo, un atteggiamento materiale e soltanto ‘attaccato’ (come un idolo) al soldo.
Lo Stato conta su di noi e noi, all’unisono, rispondiamo con un forte, collettivo e oceanico ‘sì’.
Così rispondiamo al ‘potere’ e lo ringraziamo per il suo prezioso e inestimabile insegnamento: per apprezzare la vita occorre liberarci del superfluo e puntare all’essenziale (molto essenziale).
Il contratto. Potevano anche non rinnovarlo. In fondo la nostra natura è questa: meno sono i compensi e più ci sentiamo eletti a perpetuo impegno.
Scusate ora sono costretto a smettere di affastellare questa stereotipata sequela di frasi fatte.
Impegni meno elevati dell’educare (ma non meno gravi) mi aspettano: fare la spesa, pagare la bollette, saldare l’amministrazione, rinnovare il bollo auto, fare benzina e molto altro ancora.
Riuscirò a farcela ora, con ben trenta euro in più?
Non so.
“C’è chi sta peggio”. La voce del grillo parlante di Pinocchio.
Sì è così, allora mi fermo qui.
Andrea Ceriani
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