“Farli o meno significa lavorare o meno”. È questa la triste realtà che rende i corsi post-laurea – master e perfezionamenti – particolarmente vicini agli interessi formativi dei docenti precari della scuola italiana. L’ammissione è di una diretta interessata, intervistata da Enrico Bandini, giornalista professionista e docente di materie umanistiche nelle scuole secondarie di secondo grado, autore della video-inchiesta “Trepuntifici: la vita meravigliosa degli insegnanti precari”.
Dalla testimonianze di aspiranti docenti, sindacalisti, funzionari Miur e responsabili degli enti di formazione è stata messa a fuoco la presenza radicata, in tutte le province, di un sistema che ogni anno rilascia attestati a migliaia di docenti precari in cambio di una formazione sommaria e nozionistica. “Nonostante le tante iscrizioni ai corsi di perfezionamento, molti insegnanti, nei forum in rete, ne denunciano la scarsa validità sul piano formativo. I corsi – sostengono – sono basati su dispense ‘mediocri’ e ‘nozionistiche’: una ripetizione scadente di ciò che un laureato avrebbe già dovuto apprendere nel suo percorso di studi universitario”.
Nel prologo al video-racconto si sottolinea come “in tempi di precariato nella scuola, per alcuni enti ed università il vero business è diventata la formazione post laurea”: conseguirla comporta infatti la possibilità di incamerare preziosi punti per avanzare nelle graduatorie. E chi non lo fa rischia spesso di essere scavalcato da chi è più intraprendente.
Per venire incontro alle esigenze dei docenti, spesso impegnati a scuola come supplenti, la stragrande maggioranza dei master e dei perfezionamenti sono di tipo on line: la formazione, in pratica, avviene attraverso la fornitura dei materiali e l’allestimento di forum e newsgroup cui i corsisti assistono nei momenti della giornata a loro più congeniali. La loro valenza, utile per incamerare i preziosi punti (1 a seguito dei perfezionamenti, 3 per i master pari ad almeno 1.500 ore complessive), è però fuori discussione: i programmi degli enti formativi e degli atenei sono infatti tutti rigorosamente rispettosi della direttiva Miur 90/2003.
“Tra i più gettonati – spiegano gli autori dell’inchiesta – vi sono quelli del consorzio interuniversitario ‘For.Com.’. Farli significa anche non venire scavalcati dai colleghi che scelgono tale scorciatoia, per scalare posizioni preziose verso il miraggio dell’incarico di ruolo. I professori li hanno già ribattezzati ‘trepuntifici’”. Se i contenuti e la formazione lasciano a desiderare, i costi sono tutt’altro che virtuali. “Si possono spendere da 400 a 1.500 euro a corso. È possibile accumulare fino a un massimo di 10 punti, pari a tre corsi da 3 e uno da 1 punto. È questo il grande affare di tanti enti di formazione, che per mettere in piedi i loro corsi devono stringere un accordo con qualche università statale o legalmente riconosciuta, quale atto indispensabile per il rilascio finale degli attestati”. Ma se il valore formativo lascia molto a desiderare, le lamentele sono trasversali ed i corsi sono assimilati al “business”, perché dal ministero dell’Istruzione continuano ormai da quasi 10 anni a lasciare tutto immutato?
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