La sentenza di Torino con la quale il giudice ha deciso di riconoscere un congruo risarcimento ai precari che, pur avendo prestato 36 mesi consecutivi di servizio non sono mai stati immessi in ruolo, rappresenta per i precari italiani una notizia a due facce: una buona e una cattiva.
Cominciamo con quella buona, peraltro evidente: il giudice ha riconosciuto gran parte delle ragioni dei ricorrenti e ha stabilito che il trattamento economico e giuridico deve essere equiparato a quello del personale di ruolo.
Ma sulla assunzione a tempo indeterminato il giudice non ha potuto fare altro che fermarsi di fronte al dettato inequivocabile dell’art.97 della Costituzione (“Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”).
In effetti è molto strano che all’indomani della sentenza europea nessuno si sia ricordato che il nostro ordinamento prevede questa “piccola” clausola e che per derogarla è assolutamente indipensabile una legge che preveda un percorso diverso.
La sentenza di Torino, insomma, ha un merito sicuro: è chiaro che non basta la decisione dei giudici europei per immettere in ruolo 150mila o 200mila (o addirittura 250mila come vorrebbero i più generosi) docenti.
Sta anzi emergendo una verità piuttosto inquietante: non è neppure detto che i precari che si rivolgeranno ai tribunali potranno ottenere il sospirato ruolo, perchè resta sempre impregiudicata la necessità di passare attraverso un concorso.
A meno che, nel frattempo, il Governo non si decida ad approvare una legge che valga per tutti, Ragioneria Generale dello Stato permettend. Come sempre. La battaglia si preannuncia lunga e complicata.
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