Il corpo insegnante italiano è decisamente più femminilizzato rispetto alla media internazionale. Infatti, con il 79% di donne insegnanti l’Italia si colloca al quinto posto nella graduatoria complessiva del tasso di femminilizzazione. Se poi si considerano solo i paesi più industrializzati, il corpo docente italiano è quello più femminilizzato.
Le donne sono esattamente il 78,5 per cento contro il 63,2 per cento delle scuole inglesi e il 66 per cento di quelle francesi; in Olanda sono metà e metà e in Giappone addirittura le donne sono in minoranza.
Su quali possano essere i motivi, si potrebbero fare molte ipotesi e a tale riguardo c’è anche una vastissima letteratura, talvolta anche persino conflittuale.
Per taluni sarebbe dovuto al fatto che è un lavoro, quello dell’insegnate, che, consentendo molto tempo libero, permette alle donne di dedicarsi alla famiglia, per cui appare una delle poche opportunità abbastanza allettanti. Non si scordi fra l’altro che la stessa Matilde Serao, all’inizio del secolo scorso, scrivesse come il lavoro della maestra fosse l’unico per lo più consentito perché non determinava scandalo fra la piccola borghesia.
Per altri ancora, ma potrebbe essere conseguenziale, l’eccessiva femminilizzazione impedisce anche una più decisa battaglia salariale e normativa accanto ai sindacati che devono registrare ad ogni sciopero presenze assai basse di partecipazione. Infatti lo stipendio servirebbe come aggiunta al salario del coniuge e non come prima fonte di guadagno. La scarsa considerazione sociale dunque nascerebbe pure dalla mancata compattezza “politica” di un corpo docenti lacerato persino negli obiettivi più importanti, contrariamente, per esempio, agli scioperi massicci che gli altri comparti registrano quando soprattutto si tratta di paga e di salario.
Ma c’è pure un’atra teoria secondo la quale già nei libri delle elementari si indirizzerebbe la scelta lavorativa futura dei bambini, considerato che, nelle letture, i babbi sono sempre medici, avvocati, ingegneri e male che vada operai o artigiani, mentre le madri delle famiglie tipo descritte svolgono la mansione di infermiera o di maestra o di casalinga. Mai comunque al contrario, catalogando così una perfetta divisione sessista della società che poi andrebbe a condizionare le scelte.
Che del resto, nel corso degli anni, si è avuta una lenta ma inesorabile ascesa della presenza femminile nelle scuole è un dato inoppugnabile, mentre nelle aule appare importante avere entrambi i sessi rappresentati, anche ai fini educativi e dei modelli di riferimento della società agli occhi dei ragazzi.
Nello stesso tempo è stato evidenziato che nelle scuole d’infanzia ed elementari la presenza di docenti donne raggiunge oltre il 90% e poi lentamente cala fino alla secondaria superiore dove però sono sempre le donne, da qualche decennio a questa parte, ad avere la maggioranza.
È comunque questo, come l’indagine Talis registra, un fenomeno particolare dell’Italia e non presente, o in misura molto minore, tra i paesi dell’occidente europeo, per cui appare evidente che dovrà pure aver una sua motivazione e spiegazione.
Motivazione che però si trova per esempio sul primato della classe insegnante più anziana: 6 anni in più rispetto alla media TALIS, benchè a ciò corrisponda un maggior patrimonio di esperienza professionale, valutata mediamente a 20 anni di esperienza di insegnamento.
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