Si fa un gran parlare, a scuola, della fatica oggi, più di ieri, nell’accompagnare i ragazzi ad un apprendimento non nozionistico, ma capace di alzare lo sguardo, l’attenzione, la concentrazione oltre la superficie delle informazioni, le quali valgono, se valgono, solo il sole di un mattino.
Si è provata e celebrata, per un certo periodo, la strada delle competenze, oggi invece sembra prevalere la via del riflusso, con l’inno ed il ritorno alle meno impegnative conoscenze.
Se diciamo conoscenze, rimane sempre la domanda: quali, con quali priorità, vista l’impossibilità, come invece quasi di pretenderebbe, di correre dietro a tutte
Dunque, la scuola obbligatoriamente, nelle programmazioni, deve individuare delle priorità, secondo finalità ed obiettivi. Sapendo poi che, al dunque, conta insegnare ad imparare sempre nuove e più complesse conoscenze, che si facciano poi capaci di sintesi, in vista di competenze accertabili, verificabili, spendibili.
Proprio per questo motivo, a me pare che poco si rifletta oggi sul primato del metodo sui contenuti, dei percorsi (troppo pieni di contenuti) previsti dalle Indicazioni Nazionali e dalle Linee Guida, figlie del “riordino” del 2010, le quali, invece, hanno moltiplicato a dismisura la quantità delle conoscenze a scapito della qualità degli apprendimenti.
Insomma, gli studenti a scuola incontrano troppe materie, troppe ore, per troppi indirizzi, per programmi troppo vasti.
Mi sto chiedendo, e sto chiedendo sempre più: come possiamo dare una mano ai nostri ragazzi, in termini di qualità e significatività dell’apprendimento?
Contano i contenuti, o non piuttosto gli approcci, cioè i percorsi, cioè il metodo?
Per chi insegna matematica, ad esempio, quante dimostrazioni di teoremi oggi sono in grado di proporre ai ragazzi? Ma lo stesso vale per chi insegna filosofia, per chi deve educare alla traduzione, che è sempre interpretazione, di testi antichi o moderni. E che dire dell’insegnamento della storia, non ridotta a favoletta nozionistica? Per non dire delle materie tecniche, le quali presuppongono comunque una comprensione, in vista di una rielaborazione.
Come concordare, infine, quella benedetta soglia della sufficienza, che dovrebbe verificare e garantire la significatività di un apprendimento?
Nei Dipartimenti, ma anche in Collegio per il tema della valutazione, risuonano queste considerazioni, od ognuno fa da sé? E nel Ptof, cioè nel Patto Formativo tra scuola, studenti e territorio, come sono scanditi questi concetti? E nella selezione dei docenti e dei presidi?
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