Rischia di comportare limiti interpretativi e anche discriminazioni sociali l’eccesso di parole inglesi introdotte nel linguaggio comune italiano: largo, quindi, ad un glossario che fornisca “una spiegazione univoca degli anglismi utilizzati”, a partire dal Piano Scuola 4.0 adottato con decreto del ministro dell’Istruzione nello scorso mese di giugno per inquadrare le attività didattiche legate alla digitalizzazione. La proposta non può passare “in sordina”, perché giunge dall’autorevole Accademia della Crusca, la quale pone degli interrogativi sulla effettiva utilità della quantità “notevole di prestiti integrali” dall’inglese e rilancia dei termini chiari, italiani, che arrivino ad un testo che proponga “il rinnovamento della scuola italiana”.
Dall’Accademia della Crusca giunge quindi l’appello pubblico perché “si metta in circolazione una versione del piano ‘tradotta’ per gli utenti comuni non specialisti, o, più semplicemente, si unisca al documento un glossario interpretativo autentico”.
Gli esperti linguisti vorrebbero leggere dei testi, a partire da quelli che riguardano da vicino l’Istruzione, nei quali “si fornisca una spiegazione univoca degli anglismi utilizzati, non solo per verificarne la necessità, l’uso appropriato e la coerenza, ma anche per renderne chiaro a tutti, operatori della scuola”.
La proposta della Crusca è stata immediatamente raccolta dal primo partito di Governo. Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera di Fratelli d’Italia, primo firmatario del progetto di legge sull’introduzione dell’italiano in Costituzione, apprezza “l’iniziativa dell’Accademia della Crusca che intende proporre un glossario per l’appropriata traduzione in italiano delle parole straniere, in particolare l’inglese, entrate nel nostro dizionario, nel parlato e addirittura nei testi amministrativi e normativi”.
“Concordo soprattutto sullo spirito con il quale l’Accademia affronta la questione: la lingua dev’essere accessibile, a scuola, come sul lavoro, al mercato, negli uffici della Pubblica Amministrazione“, sottolinea Rampelli.
Il parlamentare di FdI sostiene che “comunicare attraverso una lingua straniera significa diminuire i diritti democratici delle persone meno istruite. La lingua è prima di tutto democrazia, oltre che identità”.
“Se come conservatore mi preoccupo della nostra identità, come politico eletto dal popolo italiano mi devo battere per l’accessibilità alla legge, e quindi la democrazia”, conclude Rampelli.
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