Anche alla Fondazione Agnelli non convince il nuovo sistema di reclutamento dei docenti, che rischia di creare figure sottoposte ad una valutazione ambigua.
Dice però il Miur: “Il percorso per arrivare al provvedimento oggetto di delega è appena cominciato e i tavoli voluti dal Miur per confrontarsi con esperti e associazioni servono proprio a far emergere soluzioni condivise e non unilaterali. I vertici politi di viale Trastevere hanno voluto con forza avviare un confronto per evitare cambiamenti calati dall’alto. Il confronto avviene in un clima non di dissenso ma di collaborazione».
Tenendo conto dei vari passaggi cui gli aspiranti sono sottoposti, sottolinea la Fondazione, e dopo la “positiva conclusione e valutazione”, solo allora i candidati potranno ottenere il ruolo: troppo tempo e troppi esami e troppi passaggi.
Il sistema prevede infatti che un insegnante si formi in 8 anni, 5 di università e tre di tirocinio: “Bisognerebbe -suggerisce la Fondazione Agnelli- pensare ad un sistema che non superi i sei anni, eventualmente prevedendo un tirocinio di un anno dopo la laurea magistrale”.
E ottenuto il ruolo c’è anche la mannaia della valutazione: “A chi spetta una decisione così importante? Con quale rigore ci si aspetta che questa venga presa?”
Se infatti la valutazione è affidata al comitato di valutazione, finirebbe per essere “debole, poco trasparente e potenzialmente iniqua”, a fronte della responsabilità di decidere dell’assunzione di una persona per tutta la vita all’interno della Pubblica amministrazione.
Critica la Fondazione anche sul percorso di abilitazione, che finisce per essere sovrapposto a quello di assunzione: gli aspiranti professori infatti si abilitano dopo aver superato il concorso, anche se non hanno ancora svolto un solo minuto di pratica. Ma la cosiddetta “pratica” è in effetti così determinante per formare un bravo prof?