Il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, sembra accogliere le critiche provenienti da più parti sull’eccesso di compiti a casa che i docenti italiani assegnerebbero ai loro alunni. Il responsabile del Miur ha assicurato, a tal proposito, che con la nuova scuola vi saranno sicuramente meno compiti da svolgere nell’ambiente extra-scolastico.
Giannini lo ha detto a margine del Consiglio europeo a Bruxelles su educazione e giovani, interpellata sui dati dell’Ocse secondo cui gli scolari italiani avrebbero un carico di compiti a casa, circa 9 ore a settimana, eccessivo rispetto alle medie di altri paesi paragonabili.
“E’ un po’ il modello didattico che ha ancora una struttura molto frontale, e questo comporta necessariamente l’assegnazione di compiti nelle ore non scolastiche”, ha rilevato la Giannini.
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“Noi vogliamo delle scuole aperte, con una maggiore interazione nella didattica in classe tra studenti e insegnanti. Credo quindi che i compiti diminuiranno con la nuova scuola, e non è male che i compiti diminuiscano, purché – ha concluso il ministro – ci sia la compensazione di qualità come la vogliamo”.
Viene da chiedersi, tuttavia, quanto la qualità delle conoscenze e competenze di nostri alunni possa dipendere dalla quantità di compiti assegnata dai docenti: ma perché l’Ocse si sofferma su questo genere di ricerche, alla resa dei conti fine a se stesse? Sulla questione, intanto, sono intervenuti diversi esperti di scuola.
“Pur non essendo talebani nel chiederne l’eliminazione, riteniamo che un aggravio di compiti a casa oltre a essere discriminante – osserva Angela Nava, presidente del Coordinamento genitori democratici – è un chiaro segnale del fallimento della scuola. I tagli attuati negli ultimi anni (meno tempo scuola, più bambini in classe, più affanno per gli insegnanti) hanno fatto sì che i compiti a casa siano diventati una modalità per andare avanti e completare i programmi. Quanto ai risultati scolastici è dimostrato anche dai dati Ocse che più compiti non significa automaticamente migliori risultati. Tutto ciò dovrebbe imporre una seria riflessione”.
Non si stupisce di quanto rivelato dallo studio Ocse il segretario generale della Uil scuola, Massimo Di Menna, che ha anni di insegnamento alle spalle. “Finlandia e Corea che sono i paesi che hanno meno ore di lavoro a casa per gli alunni sono realtà dove per l’ambiente scolastico (aule, laboratori, attrezzature) c’è maggiore attenzione e investimenti. Quanto più c’è attività di studio e ricerca in classe, meno serve il lavoro a casa”.
Di Menna osserva che comunque il dato dell’Ocse e’ un dato medio: “Ci sono tantissime scuole, tantissimi insegnanti in Italia che adottano modelli innovativi che consentono di fare attività principalmente in classe. Ciò non toglie che da noi si registrino forti ritardi. La Lim, ad esempio: ancora non è stato completato il piano per adottarla ovunque e lo strumento è già superato” ha aggiunto il sindacalista ricordando che l’Italia è il penultimo Paese nella classifica della spesa per l’istruzione.
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