I lettori ci scrivono

Troppi compiti e poco tempo libero per gli studenti? Risponde un insegnante

Anche se non sono il Ministro dell’istruzione – cui è indirizzata la lettera di Leonardo Umberto Buceti “Troppi compiti e poco tempo libero per gli studenti” – rispondo illustrando il punto di vista di un insegnante che crede ancora (illuso?) nella scuola come luogo di studio.

Prima questione: nessun tempo libero. Davvero? E allora perché ad ogni ora del giorno – e magari anche della notte – si vedono in giro ragazzi in età scolare? Quelli non sono certo a casa a fare i compiti.

Seconda questione: secondo Leonardo Umberto “non riusciamo neanche a fare un’attività che ci piace”. Ma l’attività che più piace dev’essere proprio lo studio! Altrimenti perché si va a scuola?

Terza questione: sempre secondo lo studente in oggetto “usciremo dalla scuola con una preparazione minima per poi forse trovare un lavoro”. Ovvio: studiando poco per potersi riposare, rilassare e fare tante cose non scolastiche la preparazione può solo essere minima!

Quarta questione: “a scuola bisogna sempre dare dei risultati”. Ovvio e giusto: la vita premia il risultato. Se tu, caro giovanotto, un giorno sarai nel mondo del lavoro, dovrai fornire dei risultati al tuo datore di lavoro o ai tuoi clienti, altrimenti nessuno ti darà lavoro. “Gli studenti devono fare verifiche e compiti anche se hanno altre capacità fuori dal complesso scolastico”. Ben vengano queste altre capacità fuori dal complesso scolastico, ma sono per l’appunto al di fuori della scuola, che invece deve valutare gli studenti per quello che sanno fare a scuola.

Quinta questione: “il sistema dei voti scoraggia i ragazzi perché li mette sotto giudizio di qualcuno continuamente”. Nella vita si è continuamente sottoposti al giudizio di qualcuno: insegnanti, parenti, amici, datori di lavoro…

Sesta questione: “L’obiettivo (della Finlandia) è di evitare a tutti i costi un livellamento verso il basso”: ma se si fa come suggerisce Leonardo Umberto il livello potrà solo abbassarsi sempre di più. Meno studio, meno impegno, meno applicazione significano proprio quello che lui tanto accuratamente vorrebbe evitare: il livellamento verso il basso.

Daniele Orla

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