In questi giorni si fa gran parlare dei compiti casa, che secondo più parti sono troppi e possono avere conseguenze negative negli studenti a livello di stress. La questione è stata scoperchiata da una madre che si è sfogata rumorosamente su TikTok contro gli insegnanti e poi ripresa dallo scrittore e professore Enrico Galiano, che ha detto che i compiti casa sono troppi e dovrebbero essere pianificati e assegnati tenendo conto delle diversità dei singoli alunni.
Ad inserirsi nel dibattito è stata la vicesindaca di Rimini Chiara Bellini, che ha pubblicato una riflessione sul suo profilo Facebook. “Dovremmo forse interrogarci su una scuola più lenta, meno ossessionata dalle competenze ma in grado di educare anche attraverso il benessere psicofisico, perché l’entusiasmo e la curiosità nascono da una condizione serena, non da uno stato di ansia. Una scuola che vada più piano, ma lontano e insieme”, ha esordito, spiegando come dovrebbe essere la scuola a suo avviso.
“Mi capita sempre più spesso di ricevere lettere e testimonianze di genitori preoccupati per le loro figlie e figli – dalle elementari alle superiori – in relazione allo stress dovuto al carico di compiti da fare a casa. Può una ragazzina di 11 anni studiare anche la sera e alzarsi al mattino alle 6:15 per ripassare? Che cosa succede quando le ragazze e i ragazzi sono così occupati da avere poco tempo per lo sport e per la socialità? Dovrebbe suonare un campanello di allarme quando, quello che dovrebbe essere il consolidamento delle competenze da svolgere a casa, si trasforma in un carico di lavoro che rischia di aumentare il divario tra i ragazzi e le ragazze che hanno alle spalle famiglie in grado di sostenerli, in termini di tempo, competenze e risorse, e chi no”, ha aggiunto, riportando alcune testimonianze.
Anche Bellini si trova d’accordo con Galiano, che ha sottolineato il fatto che non differenziare i compiti per casa rischia di far aumentare il divario tra gli studenti che godono di maggior supporto dal loro contesto e coloro che non ne hanno.
“La scuola di oggi è oberata da troppe incombenze amministrative. Negli ultimi anni le sono state affidate una quantità di incombenze burocratiche, insieme a diverse variazioni, alcune alquanto fantasiose dei curricoli, monitoraggi di vario tipo, che si aggiungono alle difficoltà derivanti dagli effetti della pandemia. Sono criticità endemiche al sistema nazionale, che come tali andrebbero affrontate nelle rispettive sedi governative e ministeriali. Tuttavia, a livello locale possiamo fare la nostra parte, partendo dall’ascolto, sia delle famiglie, che del mondo scuola. Un passo concreto potrebbe essere quello di aprire una discussione con l’Ufficio scolastico provinciale, i dirigenti scolastici, i pedagogisti, per discutere di come poter contenere l’ansia da prestazione derivante dall’insistenza eccessiva sulle competenze, dalle prove Invalsi, da Eduscopio e affini”, ha aggiunto la vicesindaca.
Quest’ultima ha concluso: “La scuola deve essere un luogo di benessere. A mio avviso, dovremmo lasciarci alle spalle un’idea di scuola incentrata sull’acquisizione di competenze, ma a discapito del benessere psicofisico dei ragazzi e delle ragazze, con il rischio, soprattutto, che lo sforzo di raggiungere l’obiettivo uccida la loro curiosità, la loro voglia di socialità, il loro bisogno di impiegare del tempo libero per coltivare altri interessi”.
Ma davvero i compiti sono fonte di ansia e stress per alcuni studenti, che rischiano di essere penalizzati? Ciò che è certo è che molti studenti vivono in condizione di disagio psicologico: emblematico il caso del liceo classico Berchet di Milano.
Ben 56 studenti hanno lasciato la scuola per trasferirsi altrove. La Repubblica ha condotto un’indagine per capire cosa ci fosse dietro queste decisioni e quale sia il clima che regna nell’istituto.
Dal sondaggio – che chiedeva agli allievi di dare punteggi da uno a cinque su diverse questioni – emerge che oltre la metà di chi ha partecipato (303 allievi) soffre di stress e ansia a causa della scuola, che il 53 per cento sente una forte pressione da parte degli insegnanti e che il 57 per cento non affronta con serenità le prove orali e scritte.
“Ci sono delle difficoltà, per la maggior parte provocate dagli anni di Covid, dal periodo trascorso a casa e dalla didattica a distanza – sottolinea il preside Domenico Guglielmo – . Stiamo cercando di affrontarle con un supporto maggiore di tipo didattico: abbiamo attivato già dall’inizio dell’anno corsi integrativi di italiano e matematica, per rafforzare le basi degli allievi, prevediamo la possibilità di tutoraggio tra pari, quindi con studenti più grandi che affiancano i più piccoli, e, da quest’anno, lo studio assistito con la presenza di un docente”. L’idea è di intervenire sulle competenze dei ragazzi per “cercare di rafforzare la loro fiducia in se stessi”, mettendo poi a disposizione il supporto “di una psicologa presente da tempo a scuola e di un’altra disponibile grazie alle risorse arrivate per far pronte alle conseguenze della pandemia e confermate”.
“Molte criticità erano già presenti prima del Covid, ora stanno venendo alla luce con più forza e non riguardano solo i ragazzi più piccoli – spiega Biancamaria Strano, rappresentante d’istituto e tra i promotori del sondaggio – . C’è un problema, noi lo riconosciamo e vogliamo cercare di cambiare una concezione di scuola sbagliata. A partire dal rapporto tra insegnanti e studenti: chiediamo maggiore sensibilità e attenzione per gli allievi, che non devono sentirsi aggrediti e vedere quindi aumentare i livelli di stress. È importante iniziare un percorso per aprire un dialogo con tutti gli insegnanti. L’obiettivo non è denigrare la scuola, ma far emergere ciò che non funziona e far sì che le cose cambino”.
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