Sta suscitando molto clamore l’intervento di Sabino Cassese sulla questione del rapporto numerico docenti/studenti.
I commenti sui social sono per lo più negativi, molti contestano quanto sostiene Cassese (non è detto che in una classe con pochi alunni si possa imparare di più meglio rispetto ad una classe più numerosa) e tanti sostengono che i dati forniti da Cassese, che peraltro sono ripresi da uno studio di Carlo Cottarelli e altri ricercatori, sono del tutto parziali perché non si tiene conto del fatto che in Italia il numero dei docenti comprende anche gli insegnanti di religione e quelli di sostegno.
Ma l’obiezione più forte nei confronti dell’ex giudice della Corte Costituzionale (ma anche ex ministro della Funzione Pubblica ed ex docente universitario) riguarda il fatto che, in ambito scolastico, Cassese avrebbe “zero tituli”.
Per la verità quest’ultima obiezione appare poco fondata perché di scuola Sabino Cassese si occupa, direttamente e indirettamente, da più di 30 anni.
Un intervento assolutamente “memorabile” di Sabino Cassese fu quello del 1990 in occasione della Conferenza nazionale della scuola che si aprì a fine gennaio con il discorso introduttivo di Sergio Mattarella, all’epoca ministro dell’Istruzione.
Chi era presente all’evento, ancora oggi, ricorda che le parole di Cassese furono molto apprezzate, sia da destra che da sinistra.
“Per la verità – osserva Cinzia Mion, ex dirigente scolastica, presente alla Conferenza– il numero dei docenti impiegati nella scuola non dice molto a chi si interroga sullo stato di salute del nostro sistema scolastico. Forse nemmeno Cassese si è interrogato su questo, essendo lui un tecnico soprattutto sul piano giuridico. Resta il fatto che sulla sua competenza giuridico-amministrativa non c’è molto da dire”.
“Ricordo ancora che la relazione che fece alla Conferenza nazionale – aggiunge Mion- colpì molto tutti i partecipanti. Lo spessore delle sue considerazioni venne riconosciuto da tutti; da parte mia ricordo anche che mi era piaciuto per il suo modo pacato e non spocchioso di intervenire”.
Bisogna dire che, fra tutte le relazioni introduttive, quella di Sabino Cassese, all’epoca ordinario di diritto amministrativo, fu certamente la più significativa.
In modo appassionato ma anche estremamente lucido egli spiegò che, per riformare davvero il sistema scolastico, sarebbe stato indispensabile attribuire più ampi poteri gestionali, organizzativi e didattici alle singole istituzioni scolastiche.
Aggiungendo che, in tal modo, al Ministero si sarebbero dovuti riservare poteri di indirizzo politico e monitoraggio complessivo del sistema.
La sua relazione si concludeva con una previsione sui tempi necessari: 3 anni per la messa a punto delle norme di legge e dell’attività di formazione del personale delle scuole e dell’apparato amministrativo, 6 anni per rafforzare gli uffici amministrativi dell’istituzioni scolastiche e altri 6 per adottare le “varianti in corso d’opera”.
Come siano andate poi le cose lo sappiamo bene e non è da escludere che uno dei motivi per cui l’autonomia non ha dato sempre i frutti sperati sia da legare proprio alla tempistica seguita, del tutto disallineata rispetto alle previsioni di Cassese.
“A dire il vero – osserva Franco De Anna, già dirigente tecnico, anche lui presente alla Conferenza – l’intervento di Cassese si collocava all’interno di un ragionamento più complessivo sulla riforma della pubblica amministrazione di cui si stava parlando da tempo. E siccome all’epoca c’era molto più coerenza politica e culturale, ai più attenti le parole di Cassese sembrarono molto logiche: si trattava cioè di applicare alla scuola il ‘modello’ di decentramento che si stava delineando per tutto l’apparato pubblico”.
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