Nell’arco dei prossimi dieci anni o poco più, circa un quarto di questo esercito di ragazzi, oggi impegnati negli esami di Stato, saranno a Londra, Francoforte, Madrid, persino a Taiwan o a Shenzen, ovunque sparsi ma non in Italia.
Le competenze, riporta Linkiesta.it, di cui la scuola italiana li ha attrezzati – la capacità di leggere e commentare un testo di Giorgio Bassani, oppure di articolare un discorso sulla solitudine a partire da una poesia della Merini o da un quadro di Hopper – saranno impiegate in Paesi più dinamici del nostro o semplicemente più furbi. Con loro se ne andranno la matematica, la filosofia, le scienze, e tutto ciò che il nostro sistema di istruzione si è dannato a insegnargli. E, ovviamente, anche i loro futuri redditi: faranno shopping altrove, affitteranno case altrove, pagheranno tasse altrove.
Il numero degli italiani stabilmente residenti all’estero ha superato da un pezzo la soglia-simbolo dei cinque milioni, con un incremento del 60 per cento negli ultimi dieci anni (dati Migrantes).
La fascia d’età tra i 18 e i 34 anni è quella in più rapido incremento, con un balzo del 23 per cento tra il 2016 e il 2017.
In pratica, non c’è progetto di vita per i giovani italiani scolarizzati: se ne accorgerà la politica?
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