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Troppo spesso la scuola reale è lontana dai valori dell’inclusione, ed io sono amareggiata e delusa

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Mi trovo a scrivere queste righe con un misto di rammarico, stupore e profondo desiderio di cambiamento. Sono una docente di sostegno, convinta sostenitrice dei valori di inclusione e diversità, pilastri su cui la scuola dovrebbe costruire il proprio futuro. Tuttavia, vivo quotidianamente una realtà scolastica che appare ancora profondamente arretrata e distante da questi ideali.
Ci sono colleghi che, ancora oggi, si riferiscono agli alunni con disabilità come “alunni H”. Un’espressione che, oltre a essere anacronistica, sminuisce l’identità di quei ragazzi, riducendoli a una sigla, quasi fossero una categoria a parte. Ma quegli alunni non sono “H”: sono prima di tutto persone, con talenti, capacità, sogni e bisogni, proprio come tutti gli altri.
Quello che mi sorprende, e al tempo stesso mi addolora, è il mancato rispetto della normativa che sancisce la contitolarità del docente di sostegno. Il docente di sostegno è un insegnante a tutti gli effetti, non è un semplice accompagnatore, non è il “docente del disabile”. È una figura chiave nel processo educativo di tutta la classe, portatore di competenze pedagogiche e didattiche specifiche che arricchiscono l’intero gruppo, una risorsa. Eppure, troppo spesso, il mio ruolo viene confinato a una sfera ristretta, limitata all’alunno con disabilità, privando l’intera comunità scolastica di una risorsa preziosa.
Vivo questo quotidiano con una profonda frustrazione, ma non perdo la speranza. Credo ancora fermamente che un cambiamento sia possibile. Un cambiamento che non riguarda solo la figura del docente di sostegno, ma l’intera concezione della scuola e del lavoro educativo. C’è bisogno di un lavoro di squadra, una collaborazione tra tutti: docenti curricolari, famiglie, specialisti e tutto il personale scolastico. Solo così possiamo costruire un ambiente davvero inclusivo, in cui ogni alunno – con disabilità o meno – possa sentirsi accolto, valorizzato e sostenuto.
Non possiamo continuare a perpetuare una scuola che separa, che categorizza, che dimentica l’essenza stessa dell’educazione: far crescere ogni alunno nel rispetto della sua unicità. Sogno una scuola in cui il docente di sostegno non venga più visto come una figura a parte, ma come parte integrante del corpo docente. Una scuola in cui l’inclusione non sia solo una parola, ma una pratica quotidiana.
È un percorso lungo e complesso, ma necessario. Non voglio rassegnarmi alla staticità di questo sistema, né all’indifferenza che spesso mi circonda. Voglio continuare a lottare per una scuola migliore, per una scuola che sappia valorizzare le differenze, perché solo così possiamo davvero parlare di inclusione.
Con rammarico, ma con altrettanta determinazione.

Lettera firmata