La morte di Giulia Cecchettin, la 22enne ad un passo dalla laurea in ingegneria biomedica, dapprima scomparsa e poi trovata morta dopo aver incontrato il suo ex fidanzato, Filippo Turetta, accusato del suo omicidio, ha sconvolto l’intero Paese.
Il ragazzo, arrestato in Germania domenica scorsa, è tornato in Italia oggi, 25 novembre, data dal valore altamente simbolico. Oggi, infatti, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne con cortei in tutto il Paese. Mentre si attende giustizia per la povera Giulia è bene riflettere anche su quanto si sta facendo, nel nostro piccolo, per combattere atteggiamenti maschilisti e violenti.
Quanto la tragedia è stata sfruttata come occasione per parlare di questa tematica a scuola? A cosa è servito fare il minuto di silenzio (o di “rumore”) previsto dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara lo scorso martedì 21 novembre? Cosa hanno fatto i docenti?
In alcune classi non è stato osservato il minuto di silenzio
Un docente di una scuola media milanese, a quanto pare, non avrebbe osservato il minuto di silenzio previsto, nonostante le richieste degli alunni. Il dirigente scolastico ha poi chiarito parlando di un malinteso. Molti insegnanti hanno lasciato un commento sotto al nostro post Facebook relativo a questa notizia, raccontandoci cosa è successo nelle loro classi.
C’è chi crede che il minuto di silenzio non serva a nulla e chi non lo ha osservato nonostante la direttiva del ministero.
Manuela: “Ho detto ai miei alunni che il minuto di silenzio non serve a nulla, se non a sollevare la questione, a smuovere gli animi e a sensibilizzare i giovani su una tematica che sta diventando troppo ricorrente”.
Alessandra: “Nemmeno io l’ho osservato. Ho preferito parlare per un’ora intera della problematica. Un minuto di silenzio o di rumore non cambia nulla, è solo retorica di facciata”.
Loredana: “Non è che facendo i minuti di silenzio riporti quella poveretta in vita. Andiamo oltre su e puntiamo a far cambiare la giustizia semmai”.
Barbara: “Nella nostra scuola hanno fatto un minuto di silenzio ma a che serve, che cosa può capire bambino di 3 anni?”.
Stefano: “Con le nostre classi siamo andati al cinema a vedere Primadonna, poi due ore di discussione. Mi è sembrato più funzionale con classi composte prevalentemente da ragazzi di sesso maschile”.
Stefano: “Pagliacciata inutile a cui ha fatto bene a non prestarsi”.
C’è invece chi sè è attenuto alle regole e ha approfittato per aprire un dibattito.
Silvia: “Io sono docente (anche se non mi ritengo tale), non sono genitore e ho trovato vergognoso che anche nella mia scuola non si sia osservato il minuto di silenzio, dopo tanto di circolare per giunta. Quel minuto non cambia il mondo, non riporta in vita nessuno ma è un piccolo segno di rispetto, di ricordo e motivo di discussione su un argomento che sarebbe d’obbligo affrontare”.
Rosanna: “Il docente di una scuola pubblica è tenuto ad applicare le direttive ministeriali. Già non farlo è diseducativo, al di là di opinioni e iniziative personali.
Michela: “Ho spiegato agli alunni (7/8 anni) che il minuto di silenzio era un momento di riflessione, un pensiero dedicato a una giovane ragazza uccisa che non aveva così potuto finire i suoi studi, diventare grande e completare la sua vita”.
Meglio fare rumore?
La sorella di Giulia, Elena, ha chiesto di “fare rumore” per la giovane, di “bruciare tutto”. “Non fate un minuto di silenzio per Giulia, ma bruciate tutto e dico questo in senso ideale per far sì che il caso di Giulia sia finalmente l’ultimo, ora serve una sorta di rivoluzione culturale”, ha detto, come riporta Fanpage.it. La stessa cantante Madame aveva invitato genitori e docenti a parlare di questi temi.
In una lettera riportata da Ansa una vittima di violenza è sulla stessa linea: “Sono una vittima di violenza di genere, una di quelle che si è salvata, per ora. Ho letto del minuto di silenzio indetto oggi in ogni scuola di ordine e grado per Giulia e tutte le vittime di violenza di genere. Non sono d’accordo e mia figlia non parteciperà”.
“Basta silenzio, basta mettere in discussione quello che diciamo perché magari, mentre lo raccontiamo, non piangiamo, non urliamo o indossiamo la gonna e basta con ‘tranquilla, è un così bravo ragazzo, magari era nervoso e tu hai risposto male’. Basta! Bisogna parlare, dirlo, urlarlo se serve, educare e fare!”, ha scritto.
Come riporta RomaToday, dal Kant al Mamiani, dal Giulio Cesare al Manara e il Tasso, sono diversi gli studenti romani che hanno preferito il rumore. “Il femminicidio di Giulia ci sconvolge, ci fa contorcere lo stomaco – si legge nel comunicato condiviso sui social – ma non ci sorprende. Abbiamo sperato di poterla rivedere esporre i suoi disegni, ma dentro di noi sapevamo come sarebbe andata a finire. E’ inspiegabile il vuoto che sentiamo dentro di noi in questo momento, ma sappiamo benissimo invece cosa ha portato alla morte di un’altra sorella”.