Scuola dell’infanzia e primaria non possono più proseguire distanza”: a settembre, a differenza della scuola secondaria, che potrebbe riprendere con la modalità didattica “mista”, tornare tutti in classe per partecipare alle tradizionali lezioni in presenza. A dichiarare l’impegno del Governo è stato il sottosegretario all’istruzione Peppe De Cristofaro parlando il 4 maggio ad Agorà.
Ma cosa comporta l’impegno che si è imposto l’esecutivo M5S-Pd-LeU? Un obiettivo davvero esoso, che prevede il finanziamento di diversi miliardi.
Perché c’è da “sistemare”, con una didattica in presenza parallela, il sovrappiù di alunni in ogni classe per via del rispetto dei limiti minimi di prevenzione del contagio da Coronavirus non compatibile con lo spazio limitato delle aule: in media, si tratta di una decina di allievi che andrebbero a determinare un nuovo gruppo-classe.
Il problema è capire prima di tutto dove verrebbero collocati. Quasi sempre, infatti, le scuole non hanno a disposizione locali aggiuntivi. E spesso le istituzioni locali (municipi, assessorati, case comunali, ecc.) non possono mettere a disposizione i propri.
Inoltre, c’è un’altra necessità inderogabile su cui ragionare da subito: lo sdoppiamento inevitabile delle classi necessiterà di un incremento sensibile dell’organico dei docenti. Il problema è stato sollevato anche dai sindacati, che per il primo ciclo hanno quantificato la spesa per l’incremento dei maestri pari a non meno 3 miliardi e mezzo.
Parliamo di circa 170 mila attuali classi: 128 mila della primaria e 42 mila della scuola dell’infanzia. Classi frequentate da 900 mila alunni nella scuola dell’infanzia e di ben 2 milioni e 400 mila alla primaria.
Considerando le scuole paritarie e comunali – collocati in quasi 9 mila istituti della scuola dell’infanzia e circa 1.300 della primaria – si arriva quasi a 4 milioni di alunni.
Sono numeri importanti, che in caso di sdoppiamento rischiano quasi di raddoppiare. Ma quanto costerebbe questa operazione? Tantissimo.
Ammettendo che si sdoppino “solo” 100 mila classi su 170 mila, l’incremento scolastico sarebbe di almeno 5 miliardi: una cifra che si raggiungerebbe partendo da una stima che una classe costa non meno di 50 mila euro l’anno, anche di più si considerano le spese di gestione e per gli Ata.
Se poi si dovessero modificare le strutture scolastiche (oppure se ne dovessero riadattare altri), la spesa diventerebbe molto più alta. I sindacati, in conferenza stampa, hanno messo in conto una spesa ulteriore di 6 miliardi.
Tenendoci stretti, dunque servirebbero almeno una decina di miliardi. Solo per mantenere in presenza tutte le scuole dell’infanzia e primaria.
Praticamente mezza Legge di Stabilità, con cui si prendono i provvedimenti che compongono la manovra di fine anno: una cifra quasi pari ai soldi che ogni anno si spendono per tenere in piedi reddito di cittadinanza e Quota 100.
Ora, il Governo ha intenzione veramente di impegnarsi a questo livello per garantire ai nostri alunni più piccoli di andare a scuola e non attuare la didattica “mista” scuola-casa?
Forse, facendo queste considerazioni le parole della ministra dell’istruzione Lucia Azzolina di sabato scorso – sulla necessità di ritornare settembre con metà delle classi in presenza, mentre gli altri alunni starebbero a casa a svolgere didattica a distanza, con scambio di “sede” nei tre giorni successivi – verrebbero lette diversamente.
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