Sulla riforma Fornero si è detto tanto: sulla soglia dei 67 anni, in particolare, mal digerita perché imposta in un lasso di tempo così breve da creare una valanga di esodati, si sono scagliati milioni di cittadini. Anche perché il provvedimento del 2011, “Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici“, sembrava non dovesse guardare “in faccia” nessuno. Lo sanno bene le donne. Ma anche gli insegnanti, i quali malgrado si ritrovassero tra i soggetti più rischio burnout, per via di un aumento progressivo di casi di usura psicofisica, con tanto di collocazione tra le “helping profession”, continuano ad essere sistematicamente ignorati.
Certo, qualche eccezione c’è stata. E dal primo giorno. Perchè fu lo stesso articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, ad esempio, a lasciare volutamente fuori dai parametri della Fornero l’ampia categoria dei militari.
Certo, con l’impegno di rivedere i parametri d’accesso con l’avvio del Governo successivo. Il quale, era quello Letta, bocciò da subito la proposta.
Così, ancora oggi coloro che svolgono professioni in divisa a difesa dello Stato, nell’esercito, nei carabinieri, nella polizia, finanza e altri ancora – continuano ad andare in pensione abbondantemente prima dei 60 anni, con assegni di quiescenza più alti della media e quindi tagli tutt’altro che significativi. Niente a che vedere con il 30% e oltre di taglio secco che si applica alla pensione di chi aderisce ad “Opzione Donna”.
Ma è di queste ore la notizia che anche altre categorie di lavoratori potrebbero lasciare il lavoro con un anticipo decisamente maggiore, grazie a delle deroghe previste dal bilancio 2020 in via di approvazione.
Un emendamento alla manovra di fine anno approvato dalla commissione Bilancio del Senato stanzia infatti per i giornalisti professionisti iscritti all’Inpgi ben 7 milioni nel 2020 e 3 milioni l’anno dal 2021 al 2027 per sostenere l’accesso anticipato alla pensione (in media di almeno 3 mila euro al mese).
L’emendamento prevede che nell’ambito di piani di ristrutturazione aziendale presentati dopo il 31 dicembre 2019, viene prevista un’assunzione a tempo indeterminato ogni due prepensionamenti, di giovani sotto i 35 anni di età o di giornalisti che già collaborino con lo stesso gruppo.
Il finanziamento viene revocato se un lavoratore che ha optato per il prepensionamento collabora con lo stesso datore di lavoro o con un’altra testata del medesimo gruppo editoriale.
Disco rosso, invece, per i giornalisti dipendenti di aziende che hanno cessato l’attività o risultano fallite. Come l’Unità, il cui comitato dei giornalisti ha scritto una lettera-appello al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Andrea Martella, per chiedere ‘un impegno immediato di Governo e Parlamento’.
Ma le deroghe non finiscono qui. Perché dal 2020 al 2023 vengono stanziate nuove risorse per il pensionamento dei poligrafici con almeno 35 anni di contributi: a beneficiane saranno i lavoratori di aziende di settore che presentino tra il primo gennaio 2020 e 31 dicembre 2023 piani di riorganizzazione o ristrutturazione.
Abbiamo avuto “una risposta ai poligrafici di imprese editoriali in crisi e a quelli dell’indotto, che dal prossimo anno fino al 2023 potranno andare in pensione con 35 anni di contributi in caso di riorganizzazione o ristrutturazione aziendale”, ha detto la senatrice del M5S Barbara Guidolin, componente della commissione Lavoro di Palazzo Madama, prima firmataria dell’emendamento, che ha avuto l’ok della commissione Bilancio del Senato.
“Da Nord a Sud in Italia ci sono tantissimi lavoratori di aziende stampatrici in crisi, in una prima fase escluse dalla misura – dice -, che dopo anni di sacrificio rischiavano di rimanere senza pensione”.
Tra i lavoratori poligrafici che beneficeranno dell’anticipo vi sono i dipendenti di Elcograf, ex Mondadori. Tantissimi, tra loro, ma in generale tra i grafici sparsi per l’Italia, vi sono lavoratori che hanno iniziato a lavorare in “tipografia” a meno di 20 anni: chi ha avuto la fortuna di vedersi assegnare tutti i contributi previdenziali, lascerà il lavoro prima di compiere i 55 anni. E anche loro si ritroveranno in pensione senza un euro di decurtazione.
Poi, certamente, vi sono anche altre categorie – ad esempio i bancari – che nel comparto privato beneficiano di accordi collettivi di lavori interni per accedere alla pensione con anche uno o più lustri: attraverso delle indennità cosiddette di solidarietà, di cui si fanno carico tutti i lavoratori dell’azienda, il dipendente si ritrova – in genere attorno ai 60 anni – fuori dal lavoro e con assegno di fatto “pieno”.
Nella lista degli “anticipatari”, infine, andrebbero inclusi coloro che svolgono lavori usuranti, ovvero quella quindicina di professionalità (ci sono anche le educatrici dei nidi e i maestri della scuola dell’Infanzia), che hanno accesso all’Ape Sociale, quindi al pensionamento anticipato (anche se solo di 3 anni e 7 mesi) senza, di fatto, alcuna decurtazione.
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