Ma applicare la categoria dell’utenza a coloro che frequentano la scuola per imparare contenuti, abilità e competenze disciplinari e trasversali è quanto di più inappropriato si possa pensare. La scuola non offre servizi, ma svolge un preciso compito istituzionale: istruire e formare i cittadini del domani, cittadini istruiti e democraticamente educati. La scuola non offre pacchetti promozionali, ma veicola saperi tramandati, indica percorsi educativi, stimola interpretazioni della realtà utili alla tolleranza. Compito arduo e delicato.
La scuola di tutti, la scuola inclusiva, la scuola democratica paradossalmente persegue i suoi obiettivi in contrapposizione alle immediate esigenze dell’”utenza”. Quanti studenti assuefatti allo smanettamento smartphoniano preferirebbero scrivere i loro pensierini sgrammaticati su una chat, anziché elaborarli con decenza morfo-sintattica su carta o su altro supporto? E quanti genitori preferirebbero ritrovare nella scuola i loro convincimenti etico-moral-religiosi, perché convinti che siano i più appropriati per l’intera comunità scolastica?
La natura istituzionale della scuola, dunque, collide con quella aziendalistica, erogatrice di servizi. La scuola può essere aperta, partecipata, innovata, ma non mercificata. La sua finalità non è vendere a prezzi competitivi il proprio prodotto, ma rendere allettante il sapere, il saper fare, la cultura nelle sue varie espressioni, il confronto delle idee, l’autonomia di pensiero, la cooperazione. Quando una scuola scade in offerte progettuali, magari prese in prestito da qualche canale televisivo, allo scopo di aumentare il numero delle iscrizioni, essa non attrae, ma irretisce. E nella rete ci finisce l’ “utenza”.