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Uccide il padre per difendere la madre, Crepet: “Genitori che ascoltano Mozart non vengono uccisi. Approcci educativi falliti”

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April 14, 2025

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Ha scioccato tutti la notizia relativa ad un diciannovenne che ha ucciso il padre violento per difendere la propria madre, in Trentino. A dire la sua, come fa sovente, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, ai microfoni de Il Corriere della Sera.

“Siamo davanti alle nuove ‘invasioni barbariche’ in cui la nostra cultura evidentemente è rientrata per una ragione abbastanza semplice: quando non hai futuro hai solo presente, e il presente può essere drammatico. È il futuro che ti salva, non è certo il presente. Però noi da decenni abbiamo osannato il qui ed ora. E oggi siamo finiti così”, queste le sue parole amare.

“Non abbiamo insegnato niente”

“Non abbiamo insegnato niente. È evidente. Se i giovani si comportano come i loro trisavoli, per cui le dispute vanno lavate nel sangue, e si ragiona come nel ‘600, ci sarà un motivo, no? Vuol dire che abbiamo fallito. Abbiamo fallito qualsiasi approccio educativo. Il fatto che ci siano giovani che non hanno altri strumenti, se non quello del coltello, mi fa rimanere di sale nel 2025. E non facciamo discorsi di etnie, per favore: Giulia Cecchettin era stra-veneta come il suo assassino”, ha aggiunto.

Ed ecco poi una frase che probabilmente attirerà polemiche: “Vivere all’interno di una famiglia in cui le botte sono la grammatica quotidiana è chiaro che porta a riprodurla. Un padre e una madre che ascoltano Mozart non finiranno uccisi”.

Crepet ha già commentato i recenti femminicidi di questi giorni: Ecco cosa ha detto ai microfoni de Il Corriere della Sera: “Come nel caso tragico di Giulia Cecchettin, anche qui abbiamo due ragazze che inseguivano un sogno: la laurea, un lavoro soddisfacente, l’esperienza dello studio fuori sede. Io lo chiamo coraggio, ma dobbiamo chiederci: quanto la nostra società invita al coraggio e quanto, invece, predilige la mediocrità? Un giovane uomo che non ha un sogno forte, che galleggia nella sua inconcludenza, che non ha spesso lo stesso coraggio delle donne non è invisibile”.

“Attenzione anche ai mediocri, perché chi non coltiva un orizzonte spesso nasconde il vuoto e il vuoto è spaventoso. Il problema è che oggi nutriamo questo vuoto, lo celebriamo, addirittura, in certi casi. Quasi venticinque anni fa l’Italia venne sconvolta dalla vicenda di Novi Ligure: anche in quel caso i protagonisti sembravano ragazzi normali. Lo scrissi allora e lo ripeto oggi: non siamo capaci di ascoltarli”, ha aggiunto.

“Educazione affettiva? Un’illusione”

Crepet ha parlato di educazione sessuale o affettiva a scuola: “Un’illusione. Non vedo come il fare una o due ore alla settimana di educazione affettiva possa scardinare una cultura, ahimè, millenaria e sbagliata e pericolosa, che è quella maschilista. Lo dico da padre di una giovane donna: se non riusciamo a chiedere ai nostri figli nemmeno “Come stai?” di che cosa stiamo parlando?”.

Ecco alcune parole sull’educazione e sull’importanza di ascoltare i giovani: “Questa storia che parliamo linguaggi diversi è ridicola. Io parlavo dei Beatles, mia madre di Mina e mio padre di Mozart. È sempre stato così, solo che una volta i bambini delle elementari non andavano a scuola con il trolley. Una volta ti insegnavano che la scuola è fatica, che il lavoro è fatica, che l’amore stesso è una fatica. Se non insegniamo ai più giovani che ogni cosa ha un peso, un prezzo, che comporta una parte di sudore, come possiamo pretendere che loro stessi diano valore alle cose e alle persone? Chiediamoci tutti quanto è durata l’ultima cena che abbiamo fatto insieme a nostro figlio o a nostra figlia. Tredici minuti? E magari con lo smartphone acceso? Fare domande profonde richiede coraggio, anche quello di sentirsi rispondere con riluttanza, ma fa parte del gioco: saperli ascoltare vuol dire mettersi in gioco ogni giorno. Creare spazio affinché si stabilisca una connessione. Il non ascolto crea morte di per sé”.

“Questi omicidi non toccano soltanto le famiglie delle vittime, ma tutte e tutti noi. È un problema culturale, che ci accomuna e che ci deve unire in una risposta collettiva. Altro che riferimenti all’etnia”, ha concluso.