Mai un’invasione militare era stata seguita da tutti così da vicino, quasi in tempo reale, come quella dell’Ucraina da parte delle truppe russe: le immagini pubblicate nelle tv e sui social, ma anche l’alto numero di profughi, stanno provocando sentimenti inusuali, come ‘il panico da guerra’. Ancora di più perché ha trovato terreno fertile tra le persone, già provate da due anni di Covid. A spiegare come cercare di reagire è Roberto Ferri, presidente della Società italiana di psicologia dell’emergenza: a colloquio con Adnkronos Salute, l’esperto ha detto che l’emergenza della guerra in Ucraina “si innesta su un’altra, la pandemia, non ancora terminata e che ci stava dando speranze di conclusione”. Quindi, va a colpire “la popolazione in una situazione di fragilità”.
Secondo Ferri, per contrastare i timori, consci ed inconsci, che si stanno insinuando nella testa degli italiani può essere utile “evitare la dipendenza da news, condividere le preoccupazioni con altri, non trascurare la quotidianità, formare i ragazzi anche a scuola”.
Lo psicologo ritiene “necessario aiutare, anche attraverso la scuola, i ragazzi e i bambini – tra le categorie più fragili – per capire cosa sta succedendo”.
Ma il corpo docente è pronto a gestire la situazione in classe: lo stesso Ferri ha dei subbi, così annuncia che la Società italiana di psicologia dell’emergenza, di cui presidente, “sta pensando ad iniziative per supportare gli insegnanti. La pandemia ha fatto grossi danni psicologici sui minori e serve una particolare attenzione”.
In generale, “il consiglio principale per le persone più vulnerabili e ansiose – ha detto lo psicologo – è quello di proteggersi evitando di farsi ‘ipnotizzare’ dal susseguirsi delle news sulla guerra. Questo non significa non informarsi, ma concentrarsi sulle fonti certe, limitando a poche volte al giorno l’aggiornamento”.
Sarebbe poi molto importante “anche di continuare a vivere la propria quotidianità senza rinunce. Serve poi mantenere la socialità e avere la capacità di condividere le proprie angosce e le proprie paure con gli altri”.
“Noi psicologi – aggiunge – lavoriamo con le parole: comunicare un’emozione ha un valore catartico. Anche in famiglia, quando si è preoccupati, meglio condividere i timori, è sbagliato pensare di ‘proteggere’, per esempio, i figli tacendo, perché la preoccupazione si percepisce, ma se viene verbalizzata le persone attorno a noi si rassicurano”.
Un altro esperto, David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, pronunciandosi sugli effetti psicologici derivanti dal conflitto in Ucraina sui più piccoli ha detto che “i bambini assorbono il clima che c’è in famiglia e avvertono le preoccupazioni. E in questo difficile momento, con le notizie di guerra che si aggiungono alla stanchezza psicologica dei due anni di pandemia, è inevitabile che i timori ci siano anche nei grandi”.
“l genitori – ha continuato Lazzari, anche lui intervistato da Adnkronos Salute – possono aiutare i piccoli parlando con loro. Cercando, però, di non negare il problema ma, ovviamente rassicurandoli”.
Quindi, “negare il problema della guerra non aiuta, perché i bambini lo captano: dai media, a scuola, per strada. Gli adulti devono ascoltarli, rispondere alle domande”.
Il presidente del Cnop ha aggiunto che “è necessario spiegare che nel mondo esistono le cose negative, i problemi, le guerre. Serve rassicurare senza nascondere“.
“Anche le ansie e le paure devono avere uno spazio nel dialogo con i genitori che, dal canto loro, dovrebbero provare ad avere atteggiamenti rassicuranti. I piccoli non hanno gli strumenti per affrontare questi problemi, sta ai grandi offrire loro una forma di contenimento delle ansie e delle loro paure”, ha concluso Lazzari.
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