Le dichiarazioni recenti della Presidente della Commissione Europea Ursula von Der Leyen relativamente all’ipotesi dell’introduzione di un obbligo vaccinale generale europeo infiammano il dibattito politico nelle istituzioni europee e dei singoli paesi. Alcuni di questi, in particolare quelli collocati nell’Europa centro-orientale e balcanica presentano un tasso percentuale di popolazione vaccinata molto basso; tale discussione, avente luogo nel Parlamento Europeo e nell’associata Commissione, vede già lo sviluppo di alcune frizioni politiche, derivanti dalla complessità dell’applicazione di tale obbligo in fase di discussione. L’Austria, seguita pian piano dalla vicina Germania, introdurrà la vaccinazione obbligatoria per tutti i cittadini sopra i 12 anni giù dal primo febbraio prossimo; tale scelta obbliga le istituzioni sanitarie locali a riacquisire le responsabilità per eventuali eventi avversi derivanti dalla somministrazione del vaccino, prima delegate al cittadino attraverso la sottoscrizione di un consenso informato. Su ciò ora si basa il confronto politico in Italia e Europa.
L’introduzione di un eventuale obbligo preoccupa, oltre alle istituzioni sanitarie che debbono organizzare ed intensificare le somministrazioni, quelle finanziarie, obbligate a stanziare quote relative al risarcimento per eventi avversi dipendenti dalla somministrazione del vaccino anti-COVID-19. In caso di obbligatorietà confermata, non esisterà più alcun consenso informato da sottoscrivere per chi dovrà essere vaccinato: il Ministero della Salute e le Aziende Sanitarie Locali dovranno ottemperare, almeno in Italia, alla legge n. 210 del 1992 che obbliga lo stato a corrispondere dei risarcimenti a quei pazienti su cui si siano manifestati eventi avversi riconducibili ai trattamenti obbligatori. Ciò apre un lungo dibattito politico di complessa natura in Italia ed Europa, che rischia di vanificare l’impegno delle istituzioni sanitarie nel fronteggiare la cosiddetta quarta ondata, di cui il Vecchio Continente non riesce ancora a liberarsi.
Figurano numerose contraddizioni avanzate dai quotidiani e dalle forze politiche europee circa le misure di contenimento del contagio messe a punto dai dipartimenti per la sanità all’interno delle scuole del continente. Gli insegnanti ed il personale scolastico, almeno in Francia, Germania ed Austria, sono obbligati a mostrare la Certificazione Verde COVID-19 per poter accedere a scuola ed esercitare la propria professione. Gli studenti possono entrare liberamente in classe e contagiarsi tra loro, mettendo a rischio l’utilità delle politiche di contenimento varate dai dipartimenti locali per la sanità, che si devono occupare anche delle operazioni di tracciamento e di screening periodico su studenti e studentesse. Tale contraddizione normativa rischia di vanificare gli sforzi e l’impegno del sistema sanitario dei singoli paesi nella guerra contro il nemico invisibile, nonché richiama tutte le forze politiche ed i comitati locali per le emergenze al fine di trovare un accordo tra sanità, politica ed economia funzionale allo sviluppo ed alla ripresa piena del continente e delle singole realtà nazionali.
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