Eurydice, la rete istituzionale che raccoglie e analizza informazioni sui sistemi educativi europei, ha pubblicato metà ottobre un nuovo rapporto dal titolo “Equity in School Education in Europe: Structures, Policies and Student Performance”. Il rapporto sottolinea l’approccio che le autorità hanno dato a questa tematica. In particolare, in Italia il Miur si è molto soffermato sugli studenti svantaggiati.
Il documento esamina 42 sistemi educativi europei e mette in evidenza, tramite dati tratti da indagini internazionali sulla valutazione degli studenti (PISA, PIRLS e TIMSS) con anno di riferimento 2018/19 (ma i dati raccolti sono spesso di anni molto anteriori) le strutture e le politiche associate a una maggiore equità del sistema.
Sistemi scolastici equi giocano un ruolo fondamentale nella costruzione di società europee più inclusive. Per gli studenti svantaggiati, il rischio di un’educazione con scarse prestazioni e l’abbandono scolastico prematuro possono avere un forte impatto sulla loro vita. La crisi del Covid-19 ha portato problemi sempre maggiori che potrebbero aggravare le diseguaglianze già esistenti.
Il report è diviso in tre sezioni e pone maggiore attenzione a diversi segmenti, tra i quali: sostegno alle scuole svantaggiate, sostegno per studenti con scarso rendimento, sistemi di percorsi scolastici differenziati, partecipazione all’educazione e cura della prima infanzia, ecc.
È importante sottolineare come le autorità europee si approccino a questi problemi. In particolare, emerge come ci sia un ventaglio ricco di criteri, a seconda di come viene intesa la parola equità nel sistema educativo e quali studenti possono definirsi svantaggiati.
Cinque sistemi educativi, (Danimarca, Malta, Olanda, Slovenia a Svezia), ad esempio, si sono concentrati molto più sul caso equità che sullo svantaggio di alcuni studenti; mentre altri (Belgio, Comunità Fiamminga, Irlanda, Italia, Ungheria, Romania, Slovacchia, Regno Unito, Inghilterra, Galles a Irlanda del Nord) si soffermano sul secondo aspetto sopra esposto. Solo pochissimi casi, come Spagna, Latvia, Lithuania, Austria, Scozia, Montenegro e Serbia hanno evidenziato entrambi i concetti, senza scegliere tra l’uno e l’altro.
In particolare, in Italia le speciali necessità educative si riferiscono non solo ai bisogni fisici o mentali degli studenti che presentano disabilità, ma anche ai bisogni speciali di quegli studenti che sono svantaggiati a causa della loro condizione socio-economica, della loro lingua o del loro background culturale.
Il rapporto prende come riferimento il documento datato 2012 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in cui venivano specificati gli strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, con riferimento, inoltre, agli studenti stranieri e agli studenti con difficoltà economiche.
Dal documento del Miur si legge come il fine fosse proprio quello di adottare una didattica che fosse “denominatore comune” per tutti gli alunni e che non lasciasse indietro nessuno: una didattica inclusiva più che una didattica speciale.
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