Quello che ci siamo appena lasciati alle spalle è stato un anno scolastico molto duro per tutti gli insegnanti. Non solo per la mole di lavoro, di carte, di adempimenti burocratici, di circolari ministeriali (mali che affliggono il lavoro dei docenti da tempo oramai immemorabile). È stato un annus horribilis per la Scuola tutta, a causa di un clima ormai conclamato, che si respira in tutti gli istituti scolastici della Penisola: un’atmosfera di ostilità da parte di molte famiglie verso quegli insegnanti che mostrano l’intento, professionalmente motivato e ponderato, di dire la verità circa il rendimento scolastico degli alunni. Il che significa, molto spesso, dover sanzionare lo scarso impegno di uno studente con un voto insufficiente, la sua maleducazione con una nota disciplinare, la sua impreparazione con una sospensione del giudizio a giugno; o, extrema ratio, con una non ammissione all’anno successivo.
Non parleremo, qui, dei tanti (troppi) casi di estrema violenza da parte di studenti e genitori nei confronti di professori e professoresse inermi, e disarmati persino del sostegno fattivo che lo Stato dovrebbe garantire a pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni: un sostegno che gli insegnanti proprio non avvertono, se non a parole.
Non tutti gli insegnanti, infatti, sono stati rassicurati dalle frasi che l’ex Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha dedicato alla professoressa di italiano e storia dell’Istituto “Majorana-Bachelet” di Santa Maria Vico (Caserta), sfregiata sul viso dal coltello di uno studente all’inizio di febbraio. La Ministra ha conferito alla docente (e soltanto a lei, e a nessun altro docente) l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica italiana”, ed ha poi dichiarato: «La sua prima espressione», della docente, s’intende, «è stata non di condanna ma dire ‘ho sbagliato io’. Un gesto che è l’essenza stessa dell’essere insegnanti, ponendosi in maniera critica sul suo operato (…) Abbiamo perso la dimensione del rispetto nella scuola e in famiglia. Dobbiamo ripartire da un patto di corresponsabilità. Ognuno, nella scuola e in famiglia, deve fare la propria parte».
La docente, insomma, è stata elogiata perché ha saputo perdonare (quasi che il modello auspicato dal MIUR fosse proprio quello). Resta però un dubbio: come comportarsi di fronte all’arroganza di chi è convinto che la promozione, e persino il bel voto, siano un diritto a prescindere dal merito effettivo?
In tutte le scuole d’Italia, in questi dieci mesi di scuola, gli insegnanti si sono trovati a dover fronteggiare sempre più spesso le pretese di genitori che contestano le loro valutazioni. È un caso? O forse questo clima viene favorito dall’evolversi della normativa in senso sempre più “garantista” nei confronti dello studente? E che dire, d’altronde, del fatto che lo studente si è trasformato in “utente”? la parola “utenza”, sempre più generalizzata per indicare gli studenti e i loro genitori, non rischia di somigliare sempre più al termine “clientela”, in un’ottica di scuola concepita secondo il modello aziendale e sempre meno come un’istituzione?
La normativa sembra oramai aver recepito l’idea secondo la quale “uguaglianza” significa promozione assicurata. L’espressione “diritto al successo formativo” non significa più che tutti devono avere le medesime opportunità e che bisogna rimuovere ciò che ostacola le potenzialità di alcuni (in linea con l’articolo 3, secondo comma, della Costituzione); sembra piuttosto significare, ormai da lungo tempo, che tutti abbiano diritto, comunque, alla promozione, a prescindere dal proprio effettivo impegno e dai risultati raggiunti in termini di conoscenze e capacità.
Pare ormai assodato, d’altronde, che la normativa intenda rendere la non ammissione sempre più difficoltosa. Si veda ad esempio l’art. 3 del DLgs 62/2017: «Le alunne e gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione». Si può negare l’ammissione alla classe successiva, ma «solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione», e per di più con decisione presa all’unanimità.
Per le Scuole Medie la Circolare Ministeriale 1865/2017 ha precisato: «Solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione, sulla base dei criteri definiti dal collegio dei docenti, i docenti della classe, in sede di scrutinio finale presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, possono non ammettere l’alunna o l’alunno alla classe successiva. La decisione è assunta all’unanimità». Paletti chiari, precisi e non derogabili.
Tutto ciò, unito alla concezione della Scuola come azienda sul mercato, che deve attivare un’efficiente politica di customer care sul territorio per battere la concorrenza delle altre scuole-aziende, non ha contribuito forse a creare nella cosiddetta “utenza” la sensazione che tutto le sia dovuto, visto che “il cliente ha sempre ragione”?
Ma far credere ai cittadini (trasformati in utenti/clienti) che l’espressione “diritto allo studio” significhi diritto al famigerato “pezzo di carta”, non è forse qualcosa che può distruggere una nazione moderna, piuttosto che migliorarla?
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