Ultimo giorno di scuola di questo complicato e sofferto anno scolastico.
Anche rispetto alle ultime proposte della ministra Azzolina su come sarà la ripresa a settembre, almeno una cosa la stiamo imparando in fretta: cosa vuol dire “etica del rischio”, come capacità di equilibrio nella nostra quotidianità.
In poche parole, noi viviamo in una “società del rischio”, per dirla con Ulrich Beck.
Perché ne parlo?
Perché nel nostro modo di vivere si è quasi imposta la convinzione che il rischio deve essere annullato, azzerato.
Di qui l’insistere spasmodico sul concetto di sicurezza, cioè sine-cura, “senza preoccupazioni”, ove tutto è sotto controllo, previsto, organizzato, gestito.
Tutti i rischi?
Beh, quando prendiamo la macchina per uscire non facciamo caso che, in realtà, i rischi dell’imprevisto e imprevedibile li diamo per scontati.
Così per tutti gli altri aspetti della vita.
Insomma, viviamo sempre nel rischio, nel mondo di un possibile anche negativo.
Perché la vita stessa è possibilità.
Si, parliamo di calcolo del rischio, parliamo, come nel “sistema qualità” ISO 9001, norma aggiornata nel settembre 2015, di “rischi ed opportunità”, ma poi sappiamo quanto sia difficile, appunto, individuare quei comportamenti, quelle scelte che ci aiutino a vivere nelle varie complessità.
Per questo, se possiamo, cerchiamo di “assicurarci”, di prevenire, di prevedere, di calcolare i possibili rischi.
Perché vorremmo, perché vogliamo avere tutto sotto controllo, quasi dominare il mondo del possibile.
Se diamo per scontato che questo mondo del rischio faccia parte dei vari contesti della vita, in questa graduale uscita dallo stress da pandemia, nel mondo della scuola, invece, sembra di vivere in un altro mondo.
Non si accetta, in molti, questa convivenza col rischio.
Si vorrebbe cioè la sicurezza piena, assoluta, intangibile.
Nel luogo principe, dopo la famiglia, dell’educazione alla vita si vorrebbe, invece, un approccio non realistico alla vita.
Paradosso tutto italiano, riassunto in quel comma del codice civile sulla “culpa in vigilando” del nostro codice civile (art.2048) che, chissà perché, non ritroviamo negli altri Paesi europei.
Temiamo cioè il rischio, in realtà abbiamo timore e tremore della libertà come responsabilità, meglio ancora, non ci fidiamo gli uni degli altri.
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