Sto guardando un film oramai alla conclusione: la storia di 4 amici di scuola che si ritrovano perché uno di loro è il padre di una bimba nata in un tempo lontano in un momento lontano: una “distrazione” di gioventù, come quella che capita o può succedere ad ognuno, da giovane (almeno così dovrebbe essere..!!!).
E guardando i quattro amici che dopo venti anni si ritrovano, ognuno con la personale storia umana, con i suoi sogni non tradotti nella propria realtà quotidiana, la mia mente corre ai tempi della Scuola, quando Essa ancora ci intimoriva e ci carezzava, nel suo talvolta essere severa ma dietro alla quale severità c’era tutto un occhio vigile e attentissimo per ognuno, conosciuti e amati comunque. Valori che poi si traducevano in giudizi che se il numero del voto appariva un po’ “falsato” era perché esso comprendeva l’essere (o la sostanza) della persona che ogni studente era: e ancora oggi, cresciuti in età e spero in saggezza, non soltanto sappiamo fare addizioni, operazioni varie, e conosciamo con precisione la differenza tra le figure geometriche, e non confondiamo il tasso di sconto con lo Scrittore o con quello che si applica su un prodotto commerciale, ancora oggi resta vivo il ricordo di quei banchi di Scuola, i nostri Docenti, le nostre pazzie e le nostre ragazzate.
Al contempo questo rimembrare, che regala un timido sorriso, pare fare a pugni con la SQUOLA di oggi, tranne forse per l’amore e l’emozione che la relazione umana e sociale sa ancora consegnare, entrando in questo luogo del sapere, della conoscenza, ma soprattutto di volti dagli occhi sinceri veri che non sanno o non riescono a nascondere la verità di ognuno di loro. E ci vediamo, come i nostri insegnanti, curvi sul loro capo ad accarezzarli e al contempo a rimproverarli quale sollecitazione ad impegnarsi guardando al loro Domani (?).
Questi ragazzi, che come noi, un tempo, si affezionano, ci seguono, ci prendono in giro, inconsapevolmente distratti dal fatto che le loro furberie sono state le nostre (prima di loro), e che se gliele facciamo passare è perché ci ritroviamo e ci rivediamo in loro.
Questo mondo chiamato Scuola, di cui ancora viva è la sua fedele tradizione, quale luogo della formazione della persona umana, in toto, questo mondo proprio perché non ha ancora perduto il suo significato e la sua vocazione, malgrado gli strappi violenti di mani indifferenti, di mani che la vedono come pozzo di voti per future elezioni politiche, avvolta dentro un pesante tendone di burocrazia senza senso e dalla perdita di tempo che toglie lo stesso alla didattica, e non soltanto, questo mondo che oggi sembra come un lenzuolo vecchio e rattoppato perché continui nel suo servizio (o compito), questo mondo che non ha paura di aprire le sue finestre al nuovo che da fuori bussa, ma al quale, aprendo le braccia, da Essa è accolto pur se nella consapevolezza che necessita di tempo per confluire in un tutto, per essere la “vecchia” e “nuova” Scuola. Questo mondo che chissà se riuscirà (io credo di sì) a consegnare almeno, se non il sapere o la conoscenza del sapere, un futuro ricordo umano di gioventù, e soprattutto permettere di conservare il sapore e l’odore della spensieratezza, della furbizia, dei quaderni senza esercizi, delle ricreazioni sui corridoi per ritrovare il proprio o la propria fidanzatina/no, o gli amici che solo la classe nella sua sezione e indirizzo rende lontani, nella promessa di ritrovarsi nelle piazze del proprio paese, o in casa a giocare alla playstation e magari qualche volta anche a fare i compiti per il test del giorno dopo, o per l’orale che si è cercato con una scusa o un’altra di rinviare, e che ora attende come un giudice severo.
Credo di sì, perché in questo tempo di DAD quello che si denuncia è appunto non tanto il salvaguardare una didattica che rischiava di essere sospesa (come fosse così il paladino che vince la battaglia della conoscenza intesa quale acquisizione dei saperi e delle competenze), quanto il desiderio di riconoscersi nel volto dell’altro e degli altri, qualunque sia il suo ruolo, in quel ritrovarsi fianco a fianco in quel tutto bellissimo e affascinante mondo che si chiama, io chiamo, ancora e ancora SCUOLA.
Ogni giorno c’è un altro film, che puntuale come fosse sviluppato in puntate. Un film che è il feriale di noi Docenti e di loro Studenti, in bilico sempre, mai rassegnati se pur impauriti, delegittimati nei ruoli e nelle funzioni, soggetti alle invettive degli autoritarismi, e democraticamente appellanti perché questo film che racconta di un mondo che unica sua vittoria è quella di esistere e non desistere, questo film abbia un esito differente, o magari perché si vorrebbe poter intervenire quali attori, e non comparse, nella sceneggiatura di un copioni nel quale non ci ritroviamo, che non ci appartiene, affinchè appunto si potesse scrivere un racconto altro, consci solo che ciò che possiamo offrire e offriamo in tal senso quale contributo è la nostra esperienza umana e di insegnanti, a chi detiene la Regia, la Sceneggiatura e la Produzione: non è soltanto una questione di investimenti economici, non siamo una azienda. E’ una questione di legittimazione e di riconoscimento, e soprattutto di SCUOLA.
Mario Santoro
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