Ricordate la storia della docente della scuola media statale di Palermo ‘Silvio Boccone’ che nel 2006 fece scrivere ad un alunno cento volte sul suo quaderno la frase “sono un deficiente”? L’insegnante aveva scoperto che il bambino, allora 11enne, durante la sua ora di lezione si era reso protagonista di una bravata: aveva impedito a un compagno di classe di entrare nel bagno dei maschi dicendogli “non ti facciamo passare perché tu sei una femminuccia, un gay”. Il compagno, vittima dell’atto di bullismo, era scoppiato in lacrime. Gli autori del sopruso chiesero scusa. Meno uno: l’alunno cui la docente decise di dare quella che all’epoca definì una “lezione di vita”.
A distanza di quasi cinque anni dal fatto, la docente, oggi 59enne in pensione, è stata condannata in appello ad un anno di carcere, con pena sospesa e condono, dopo essere stata ritenuta colpevole di abuso dei mezzi di correzione.
La lunga causa giudiziaria fu avviata dalla famiglia dell’alunno punito, dopo aver preso atto che il figlio era rimasto traumatizzato dal modus operandi della professoressa: nei giorni seguanti al fatto, fu accompagnato dal padre all’azienda sanitaria per una seduta con degli psicologi. E qualche giorno dopo ancora si rivolse alla Procura per denunciare l’accaduto.
Assolta in primo grado, l’insegnante è stata condannata in appello – per “abuso dei mezzi di correzione” – con una pena molto più elevata di quella richiesta dall’accusa, che aveva avanzato la richiesta condanna di “soli” 14 giorni di reclusione. I legali della ex docente hanno annunciato il ricorso in Cassazione. Dove non si escludono nuovi colpi di scena.
Intanto, lassociazioni omosessuali cittadine palermitane e nazionali, non nascondono il loro disappunto. Claudio Lo Bosco, presidente dell’associazione omosessuale Articolo Tre, esprimendo solidarietà all’insegnante, commenta: “E’ davvero triste apprendere che in Italia si possano subire insulti di stampo omofobo senza che chi li ha perpetrati possa essere punito, mentre chi ha cercato di fare capire al bambino che ha sbagliato che determinate cose non vanno fatte debba essere condannato con il carcere”.
La lunga causa giudiziaria fu avviata dalla famiglia dell’alunno punito, dopo aver preso atto che il figlio era rimasto traumatizzato dal modus operandi della professoressa: nei giorni seguanti al fatto, fu accompagnato dal padre all’azienda sanitaria per una seduta con degli psicologi. E qualche giorno dopo ancora si rivolse alla Procura per denunciare l’accaduto.
Assolta in primo grado, l’insegnante è stata condannata in appello – per “abuso dei mezzi di correzione” – con una pena molto più elevata di quella richiesta dall’accusa, che aveva avanzato la richiesta condanna di “soli” 14 giorni di reclusione. I legali della ex docente hanno annunciato il ricorso in Cassazione. Dove non si escludono nuovi colpi di scena.
Intanto, lassociazioni omosessuali cittadine palermitane e nazionali, non nascondono il loro disappunto. Claudio Lo Bosco, presidente dell’associazione omosessuale Articolo Tre, esprimendo solidarietà all’insegnante, commenta: “E’ davvero triste apprendere che in Italia si possano subire insulti di stampo omofobo senza che chi li ha perpetrati possa essere punito, mentre chi ha cercato di fare capire al bambino che ha sbagliato che determinate cose non vanno fatte debba essere condannato con il carcere”.