Piacerebbe a tutti, scrive il Corriere (*), uscire da scuola un anno prima, a 18 invece che a 19 anni (in linea con gli altri Paesi europei e con gli Stati Uniti e Cina) ai ragazzi in primis, ai professori universitari e agli imprenditori e poi darebbe una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato: risparmio stimato, tre miliardi. Tra i contrari convinti docenti e sindacati, nonostante “la rimodulazione dei cicli scolastici era diventata legge già nel 2000 (legge n. 30), ministro Luigi Berlinguer: le superiori rimanevano di 5 anni, ma medie ed elementari erano accorpate in un ciclo unico di 7 anni”. “L’ultimo a esprimersi a favore di una riduzione del curriculum dei liceali è stato Francesco Profumo, che lo aveva indicato tra le priorità del 2013”, mentre, ricorda Pantaleo (Flc-Cgil), “nel programma del Pdl, si trovi l’anticipo a 5 anni della scuola elementare: un modo per raggiungere l’obiettivo del diploma a 18 anni aggirandone i costi politici”. Fare iniziare la scuola un anno prima, nonostante ciò accada in Inghilterra con Malta e Cipro, in Irlanda del Nord, dove addirittura si incomincia a 4 anni (gli Stati Uniti, invece, partono dai 6 come noi; idem la Francia, il Belgio, la Spagna, la Germania, l’Austria), non incontra il favore dei pedagogisti, come spiega un professore ordinario di Pedagogia generale alla Bicocca di Milano: «I Paesi che hanno i migliori risultati nei test Ocse, come per esempio la Finlandia, iniziano addirittura a 7 anni. E poi, avendo noi una buona scuola dell’infanzia, mi pare illogico tagliare un anno all’inizio del percorso scolastico solo perché il liceo in Italia è sacro».
Luigi Berlinguer spiega invece che si potrebbe tagliere l’ultimo anno di scuola elementare, accorpandolo “alla prima media per un passaggio più morbido tra l’educazione primaria e quella secondaria-disciplinare. Ormai gli istituti comprensivi, dove elementari e medie si trovano anche fisicamente nello stesso posto, sono molti».
La soluzione più a portata di mano resta quella di rivedere i programmi delle superiori e tagliare a fine percorso, come ha spiegato la pedagogista della Bicocca di Milano: «i ragazzi oggi sono stufi, privi di motivazione e questo dimostra che il vecchio impianto gentiliano è affaticato».
Per Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli non è tanto questione di risparmi (per lo Stato) o di non perdere tempo nell’ingresso del mondo del lavoro: «Questo tema riguarda soprattutto i laureati, che si confrontano con i loro coetanei stranieri; molto meno invece i diplomati, che restano a lavorare in un ambito locale. E per i laureati i ritardi maggiori si accumulano all’università. Oggi i ragazzi nell’ultimo anno di superiori si annoiano: vorrebbero andare all’estero e invece sono lì bloccati. Sarebbe molto più utile riservare un anno di istruzione o formazione da poter usare durante l’esperienza lavorativa, sul modello anglosassone o scandinavo dei prestiti di onore».
Qualche esperimento di anticipare l’università al quinto anno di scuola superiore è in corso.
Anche vista dal mondo accademico, la riduzione del curriculum scolastico è necessaria. «È dimostrato — spiega Alberto De Toni, rettore dell’Università di Udine e responsabile istruzione e alta formazione della Conferenza dei rettori — che la divisione del percorso in due cicli diminuisce la dispersione scolastica e dunque il sistema 7+5 sarebbe più utile per gli studenti e le famiglie. In Italia viviamo poi anche il paradosso che, essendo l’istruzione obbligatoria fino a 16 anni e ricevendo invece i ragazzi la qualifica degli istituti professionali a 17, almeno il 20% dei ragazzi dei professionali lascia prima di ricevere la qualifica, alla fine del secondo anno. Se iniziassero un anno prima, a 16 anni potrebbero avere il diploma. Ridurre di un anno il curriculum scolastico poi è un bel risparmio anche sociale e per le famiglie e a 21 anni avremmo dei laureati (laurea breve) come nel resto d’Europa».
Cosa succede all’estero
Oltreconfine gli ultimi a passare da 13 a 12 anni di scuola sono stati i tedeschi. I Land hanno avviato in ordine sparso una (contestata) riforma che accorcia il percorso del cosiddetto Gymnasium (medie più liceo), portandolo da 9 a 8 anni. Ma i programmi sono rimasti gli stessi ed è aumentato il carico orario (e lo stress) per i ragazzi. Di qui, le critiche. In Francia la scuola dell’obbligo dura 11 anni (5 di elementari, 4 di medie, 2 di liceo), che diventano 12 per chi vuole fare l’università: in quel caso è necessario passare l’esame di maturità (il Baccalauréat) che si consegue solo al termine del terzo anno di liceo (a 17-18 anni). Gli inglesi cominciano un anno prima, a 5 anni, ma la loro lower school (le elementari) dura un anno in più (6 in tutto). A undici anni passano all’upper school, divisa in 3 anni di scuola media e due di liceo, alla fine dei quali c’è il Gcse, l’esame che conclude la scuola dell’obbligo (a 16 anni). Seguono due anni di specializzazione pre-universitaria, dove si studiano solo 3-4 materie, e che si concludono a 18 anni. Infine gli americani: 12 anni di scuola dell’obbligo divisi tra elementari (5), medie (3) e liceo (4), ma l’ordinamento federale è molto poco vincolante. A parte l’età minima di 16 anni, tutto il resto (inizio del percorso accademico, programmi, insegnanti, finanziamento) lo decidono i board dei distretti scolastici, che hanno l’autonomia assoluta impensabile nei Paesi europei: per esempio in Kansas e in altri Stati della Bible Belt, la fascia di più intensa presenza di cristiani evangelici, le scuole non insegnano la teoria dell’evoluzione di Darwin perché confligge con il creazionismo.
In Italia, tuttavia, secondo Alberto De Toni, l’occasione per «internazionalizzare» il curriculum scolastico senza provocare sconquassi tra gli insegnanti ora ci sarebbe: «Se si arrivasse a ridurre il liceo a quattro anni gli insegnanti in esubero potrebbero utilmente essere chiamati a insegnare negli Its, gli Istituti tecnici superiori ad alta specializzazione tecnologica, creati con la riforma Gelmini e partiti tra gli stenti (formano non più di 5 mila studenti) e senza fondi, che invece avrebbero bisogno di moltiplicare i posti per i ragazzi».
Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia generale e sociale alla Bicocca, rivoluzionerebbe l’intero ciclo di studi, cambiando quello che oggi è considerato il buco nero della scuola italiana, le medie, per farne invece il fulcro del percorso. «Partiamo dai bisogni dei ragazzi: manca una scuola della preadolescenza che aiuti i teenager a elaborare il periodo dagli 11-12 anni ai 15-16. Caricare su un tredicenne (e sui suoi genitori) il peso della scelta del proprio destino è sbagliato: come si fa, a quell’età, a scegliere il liceo coreutico o lo sportivo?».
L’idea è dunque quella di un primo ciclo di cinque o sei anni; poi quattro anni di media unica con latino per tutti «perché aiuta a ragionare e a imparare l’italiano». Infine i tre anni di superiori.
Sembra dunque che il buchino timidamente apparso sulla diga, con la sperimentazione nelle tre scuole private, si stia allargando sempre più in attesa, pensiamo, che si ingrandisca a un livello tale che sarà impossibile contenere i marosi.
*Gianna Fregonara, la giornalista che ha scritto il pezzo insieme a Orsola Riva, è la moglie del presidente del consiglio Enrico Letta
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