E’ troppo ingolfato ormai il mondo della scuola e troppe sono le ordinanze, le leggi, le disposizioni e i cavilli che non rendono più giustizia a nessuno, mentre è proprio l’istruzione che dovrebbe educare e formare alla legalità e alla cittadinanza responsabile.
E’ stato sufficiente infatti la decisone del consiglio dei ministri dei giorni scorsi, sulla base fra l’atro di un programma di immissioni in ruolo già stabilito da tempo, di aprire ai nuovi concorsi, di cui si era persa traccia dal 1999, per innescare una serie di forti reazioni, più o meno esasperate, che stanno coinvolgendo tutti i soggetti a vario titolo interessati.
I primi a scontrasi e dividersi sono stati i sindacati, favorevoli alcuni, cautamente ottimisti sull’assunzione di 11892 docenti, ma contrari altri che guardano agli altre 200mila precari che sono da anni in attesa nelle Graduatorie a esaurimento: quale destino per costoro?
Tuttavia, esaminando la situazione che s’è venuta a creare e le polemiche scaturite, non si può forse fare a meno di dare ragione a entrambe le posizioni: da un lato infatti sembra giusto dare speranze ai giovani neolaureati e a chi si iscrive all’università con l’obiettivo di fare l’insegnante, sperrando magari di elevarsi socialmente e culturalmente; ma dall’altro come si fa a scordarsi di tanta gente che, chiamata dallo Stato quando ne ha avuto bisogno, ha consentito alla scuola di funzionare, offrendo servizi anche di qualità? Si possono lasciare costoro a invecchiare nel precariato e nella incertezza nei vari gironi delle graduatorie?
Ma c’è di più. Quanto costerà questa operazione concorsuale per valutare sia le preselezioni, attraverso cui scremare gli oltre 300mila candidati previsti, e sia lo svolgimento delle prove vere e proprie, affidate al giudizio di commissari in ambito regionale, per arruolare gli 11mila nuovi professori?
Fra l’altro per partecipare ai concorsi bisogna già possedere una abilitazione: ma chi la fornirà. A tale scopo sarebbero stati implementati i corsi Tfa, i tirocini formativi attivi, i cui test preselettivi per accedervi sono stati però giudicati, anche dal ministro stesso, inadeguati, sbagliati, approssimativi. E come se non bastasse ancora devono partire del tutto e lo loro conclusione è prevista per l’anno venturo, molto tempo dopo il 24 settembre quando sarà bandito il nuovissimo concorso. Ma in ogni caso, oltre al duro colpo all’immagine “culturale e organizzativa” del Miur sui Tfa, nulla toglie, sulla base di quanto oggi sappiamo, che anche i docenti nelle GaE possano partecipare al concorso con così tanta enfasi annunciato dal ministro Profumo.
Ma questo fra l’altro significa che alcuni docenti, per avere la cattedra, debbono sorbirsi ben due concorsi: l’abilitazione propedeutica al concorso e il successivo concorso stesso, mentre altri sono già entrati in ruolo con un semplice corso abilitante di alcune centinaia di ore: è non è questa una ingiustizia e una sonora ingiustizia? In più: chi impedisce anche a chi non ha i titoli richiesti dal bando di rivolgersi al Tar e, ottenuta la sospensiva, di parteciparvi regolarmente? Non è forse successo così col concorso a dirigente che ha fatto diventare presidi tanta gente senza i titoli imposti dal bando? Né culturale né di servizio: corretto e deontologicamente etico? Peggio di promuovere un ragazzo che non lo merita.
Ma detto questo, si fa avanti pure una nuova domanda: servirà veramente questo concorso ad arruolare le giovani leve sotto i trent’anni? E chi, così giovane, possiede già l’abilitazione richiesta? E altra domanda ancora: come si comporterà il ministero con la valutazione dei titoli? Metterà in conto i servizi prestati, i voti di laurea e di abilitazione? E a quali classi di concorso sarà soprattutto aperto il concorso a cattedra? Matematica, latino e greco, così come si ventila? E gli altri giovani di altre materie? Sono forse meno giovani dei giovani citati dal minsitrro? E che ne sarà degli oltre 20mila docenti già abilitati ma non inseriti nelle GaE? Non pretenderanno forse questi professori in pectore un trattamento di favore? E se venissero ammessi al concorso, seppure con riserva, i “giovani” che hanno superato le prove preselettive Tfa, non saremmo di fronte al caos più caotico di tutti i tempi?
In ogni caso fra non molto tutte queste domande potrebbero essere svelate, ma intanto montano le speranze fra i giovani da poco laureati e di chi ha poca dimestichezza con la jungla della legislazione scolastica, le sue liane, i suoi intrighi, le sue sabbie mobili. Contestualmente però precipitano come valanga che sale le proteste e le indignazioni fra gli ultra quarantenni, ma anche ultra cinquantenni, affollati nelle graduatorie a esaurimento. Chi si occupa di costoro? E che Stato di diritto è quello che prima chiama al lavoro e ad essere servito, anche per decenni di seguito, e poi dà il benservito, asserendo che ha altro cui pensare e altra gente da sistemare al suo interno? Il padrone delle ferriere? Se non proprio così ma ci siamo molto vicini.
Tuttavia la cosa incomprensibile è il motivo per il quale il Miur, invece di percorrere vie condivise e concertate coi docenti e le loro organizzazioni, anche quelle dei precari, tira dritto lungo la sua strada senza ascoltare né le grida di dolore, né le attese, né i suggerimenti.
Ma soprattutto non ha ancora pensato, ci pare di capire, ad azzerare tutto, nel senso di fare fuori le miriadi di disposizioni di legge e normative, e rifondare tutta l’impalcatura della scuola attuale con dispositivi semplici, chiari, lineari e soprattutto certi, come avviene nel resto del mondo. Ma quando mai dalla Germania, dalla Francia, dalla Spagna, dall’Inghilterra sono venuti fuori problematiche così pesanti e astruse, così ingarbugliate e contestate, così strambe e guerrafondaie come succede in Italia?