Gentili signori della redazione,
sono una docente precaria di matematica presso una scuola superiore della provincia di Bologna e mercoledì scorso ho preso parte al concorso STEM per la mia classe di concorso, la A026.
Non ho superato la prova, e con me neppure tutti gli altri candidati presenti alla mia sessione, circa una quindicina di persone; leggendo i resoconti da altre province e parti di Italia ho riscontrato che il nostro caso non è stato un’eccezione, e che la percentuale di promossi è stata ovunque irrisoria.
Tre precisazioni sulle modalità di svolgimento del concorso:
1) La data ufficiale dell’esame scritto, quello che si è tenuto mercoledì, è stata comunicata con meno di 20 giorni di preavviso.
2) La prova “scritta” (il virgolettato è d’obbligo) consisteva nel rispondere, in 100 minuti, ad una batteria di 50 quiz a risposta multipla (quindi si avevano a disposizione DUE minuti a quiz), di cui 40 di argomento matematico, 5 di argomento informatico in senso generale, e i rimanenti 5 volti ad accertare una competenza nella lingua inglese di livello B2.
3) Ai candidati non è stato consentito l’uso di carta e penna, vale a dire che la risposta ai quesiti andava scelta elaborando i problemi matematico-geometrici esclusivamente nella propria mente. Questa direttiva non era presente nel bando di concorso, ma è stata emanata dagli uffici scolastici territoriali a neppure dieci giorni dalla data di esame.
Ora, non credo sia necessario essere un addetto ai lavori per farsi un’idea di quanto sia innaturale, e difficile, risolvere un problema matematico senza far ricorso alla scrittura, sia per quanto riguarda la parte di calcolo numerico e letterale, sia quella geometrica.
Al contrario, la possibilità di fissare i concetti su carta, di visualizzarli, di rappresentare graficamente gli andamenti delle funzioni e le forme delle figure è intrinsecamente connaturata alla matematica e rappresenta uno strumento essenziale e potente, che permette chiarezza ed economia di pensiero; rinunciare all’uso di questi strumenti sarebbe fra l’altro contrario ad ogni principio didattico, anzi, qualsiasi valido insegnante si sforza quotidianamente ad allenare i suoi allievi all’acquisizione di questo tipo di abilità.
Se si tiene conto che oltretutto, come detto, il tempo a disposizione era di due minuti per quesito (anche sull’opportunità di questa scelta ci sarebbe molto da eccepire), si può comprendere facilmente quanto proibitive fossero le condizioni di esame.
Io non so se la scelta di non permettere di scrivere sia stata una “svista” (se si siano assimilate, cioè, le discipline scientifiche a quelle umanistico-linguistiche, per le quali si è tenuto da poco il concorso nelle stesse condizioni, senza tener conto dell’ ovvia differenza), oppure una decisione meditata..
Nel primo caso, si tratterebbe di una sciatteria vergognosa sulla quale non c’è commento possibile; se fosse vero il secondo, a me pare allora che il punto sia quale tipo di competenze e di attitudini si vogliono valutare.
Che esistano menti più o meno brillanti è un dato di fatto, e che le prime possa essere fattibile risolvere quel tipo di quesiti senza l’aiuto di mezzi grafici e calcoli è altrettanto vero: qualcuno il test lo ha superato.
Ma questo non fa di chi non riesce a risolvere i quiz nelle condizioni di ieri un ignorante in matematica o una persona inadatta all’insegnamento, e io trovo assurdo e inaccettabile che tutto l’impegno, lo studio, la serietà, la motivazione e la formazione di anni di una persona vengano ridotte a nulla in pochi minuti, e che un paese recluti la sua classe docente sulla base di una selezione come questa.
Mettere i candidati in condizioni di lavorare in condizioni oggettivamente ed inutilmente proibitive è stato un atto di pura irragionevolezza e un abuso, che oltretutto ha come esito quello di lasciare la scuola in carenza di insegnanti di matematica e di far perdere agli aspiranti tali qualsiasi motivazione a concorrere.
Fra l’altro, è risultato che in alcune sedi carta e penna siano alla fine state permesse, il che crea una disparità di condizioni fra i candidati che di per sé sarebbe sufficiente, in qualunque paese serio, ad invalidare il concorso.
Mi sono sforzata di mantenere un tono pacato, perché non sopporto più il livore e l’aggressività che caratterizzano ogni dibattito pubblico, e rileggendo trovo che forse quanto ho scritto non rispecchi appieno l’indignazione e la rabbia che provo.
Vorrei poter invitare i pensatori che hanno organizzato questa farsa in una delle mie classi, per giudicare se sono o no un’insegnante in gamba.
Lo sfacelo della scuola italiana è sotto gli occhi non solo di chi ci lavora dentro, ma di chiunque abbia figli di età compresa fra 6 e 19 anni. Ma la ragione per cui ho deciso di insegnare è che spero e credo che avere passione e motivazione a farlo (oltre, ovviamente, alle necessarie competenze), avere una visione di quello che la formazione scolastica dovrebbe essere, e riuscire a coinvolgere e convincere i ragazzi potrebbe cambiare le cose, e che la nostra società ne avrebbe un bisogno profondo. Mi piacerebbe riuscire a dare anche un piccolo contributo in questo senso, invece di limitarmi a deplorare il malfunzionamento di tutto.
Quello che è certo, è che condizioni al contorno come quelle che ho sperimentato ieri fanno passare la motivazione a fare qualsiasi cosa.
Silvia Cambi