C’è un elefante nella stanza che davvero si fa fatica ad ignorare: la prova scritta del concorso a cattedra che tanti di noi hanno sostenuto in questi giorni. Mi chiedo, e chiedo a voi:
– è davvero possibile che, a fronte di tutte le belle (e sacrosante) parole che spendiamo sulla validità e sulla attendibilità di uno strumento di valutazione, sulle competenze, sul senso di prove che siano significative e sfidanti, qualcuno abbia ritenuto di mortificare ed umiliare i mesi di studio di tante persone con quesiti la cui risoluzione prevede una semplice conoscenza della lingua italiana da scuola secondaria di primo grado?
– è possibile che una domanda sulla garanzia della libertà di insegnamento riporti “INAIL” o “a discrezione del Dirigente Scolastico” nel novero delle risposte? O che si debba riconoscere che “l’empatia” non è un comportamento antisociale? Davvero qualcuno potrebbe sospettare che la riforma della scuola del 1923 potesse avere la firma di Luigi Berlinguer o di Aldo Moro?
– è possibile che quasi nessuno senta il bruciante bisogno di dire una parola? Nessun sentimento di vergogna, di rabbia? Veramente possiamo liquidare il tutto con espressioni come “la prova era tutto sommato fattibile?”
– è possibile che il Ministro Valditara dichiari che questa prova “testimonia la preparazione dei futuri componenti la classe docente”? E’ forse questo che si intende con “Merito”?
Fino a che punto l’ipocrisia ha soppiantato la dignità e l’amore per le cose fatte bene? Quanto pesa la speranza di poter coltivare il proprio misero orticello a fronte di questo assordante silenzio? Cosa avremo da raccontare alle nostre ragazze ed ai nostri ragazzi?
Vincenzo Marchello
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