Oltre la metà dei lavoratori italiani under 25, il 52,9%, ha un lavoro precario, così riporta Repubblica, commentando il report dell’Ocse nel suo Employment outlook, basato su dati di fine 2012.
La percentuale di precari è quasi raddoppiata rispetto al 2000, quando erano il 26,2%. E’ la piaga italiana che l’Organizzazione per lo sviluppo economico mette nero su bianco nel suo rapporto sull’occupazione, che passa in rassegna la situazione del lavoro nei Paesi industrializzati, dove il quadro non è certo roseo, ma delinea paesi che viaggiano a velocità diverse. I disoccupati nei paesi Ocse sono oltre 48 milioni, di cui ben 16 milioni sono il frutto di 5 anni di crisi. Entro la fine del 2014 questa cifra cambierà di poco, anche se il tasso di disoccupazione è in calo e, dall’8,5% che è il picco raggiunto nel 2009, si è scesi all’8% nell’aprile del 2013 e si calerà ancora al 7,8% alla fine del 2014. Il quadro sull’Italia è allarmante, perché il Paese resta Intrappolato tra recessione e disoccupazione e viaggia in controtendenza rispetto alla media.
L’Ocse prevede un peggioramento del tasso dei senza lavoro al 12,6% nel quarto trimestre del 2014 dal 12,2% dello scorso maggio e contro il 6,2% ante-crisi. E’ il sesto peggior dato tra i 34 paesi aderenti all’organizzazione e contrasta con la media dell’area, attesa in miglioramento dall’attuale 8% al 7,8% di fine 2014, oltre ad essere uno dei peggioramenti più marcati tra i paesi industrializzati rispetto al 2007. La percentuale dei 15-24enni inoccupata è cresciuta di 6,1 punti tra il 2007 e la fine del 2012, contro i 4,3 punti della media Ocse e l’aumento è attribuibile essenzialmente ai ‘neet’, i ragazzi che non sono né al lavoro né a scuola, la cui percentuale è aumentata di 5,1 punti al 21,4% della fine del 2012. Si tratta del terzo peggior andamento nell’area Ocse, dopo Grecia e Turchia. Il contrasto con gli altri paesi industrializzati è impressionante: altrove – scrivono gli esperti dell’organizzazione – davanti a difficili prospettive occupazionali i giovani hanno reagito ritardando l’ingresso nel mercato del lavoro e approfondendo gli studi, per cui il tasso dei ‘neet’, nonostante la crisi, è rimasto stabile. Tra i ragazzi italiani è invece aumentata l’inattività totale. Il tasso di occupazione dei 15-24enni in italia è sceso al 20,5% a fine 2012, il quinto peggior dato nell’Ocse, la metà rispetto alla media dell’area (39,7%), dal 24,7% del 2007 e dal 27,8% del 2000.
Il tasso di disoccupazione giovanile è invece balzato dal 20,3% del 2007 al 39,2% del primo trimestre 2013. No ai prepensionamenti per favorire i giovani, non serve. I lavoratori che restano al lavoro più a lungo non ‘rubano’ il lavoro ai giovani. E’ una delle conclusioni dell’Ocse. “Nuovi dati provano che i giovani e i lavoratori più anziani non sono dei sostituti nell’occupazione e che è un errore incoraggiare i lavoratori più anziani a lasciare la forza lavoro”, scrivono gli esperti.
Non solo un’uscita anticipata dal lavoro dei senior “sarebbe inefficace ad alleviare il problema dell’alta e persistente disoccupazione, ma sarebbe anche molto oneroso per le casse pubbliche”. Quindi, un ritorno alla logica dei prepensionamenti o al rilassamento delle norme di invalidità “sarebbe un errore costoso”. I lavoratori più anziani (55-64anni) hanno in effetti resistito meglio ai colpi della crisi, segnando nell’insieme un aumento dell’occupazione al 55,6% dal 53,5% del 2007 a livello di intera area Ocse, mentre la disoccupazione è aumentata dal 4% al 5,7%. In italia, l’occupazione degli ultra 55enni è aumentata dal 33,8% del 2007 al 40,4% e la disoccupazione è salita dal 2,4% al 5,3%.
L’Ocse spezza una lancia in favore della riforma Fornero: “dovrebbe migliorare la crescita della produttività e la creazione di posti di lavoro nel futuro”, grazie in particolare al nuovo art.18 che riduce la possibilità di reintegro in caso di licenziamento, rendendo le procedure di risoluzione più rapide e prevedibili. “Anche se il rilassamento delle regole sulle assunzioni su contratti a termine è benvenuto come misura temporanea per rilanciare la crescita dell’occupazione, in particolare tra i giovani, al tempo stesso è necessario che si faccia attenzione a preservare lo spirito della riforma, che combatte gli abusi nell’uso dei contratti atipici e impone un trattamento fiscale più equo delle diverse tipologie di contratto”, sottolinea l’Ocse.
L’organizzazione rileva che la riforma Fornero del 2012 ha riequilibrato gli incentivi al ricorso alle diverse tipologie contrattuali. In particolare, ha associato la riduzione dei costi di licenziamento per contratti a durata indeterminata con un trattamento fiscale più neutro dei contratti a termine e dispositivi rivolti a evitarne l’abuso. Tuttavia, – prende atto l’organizzazione – dato che “è stato sottolineato che queste restrizioni ai contratti temporanei e atipici potrebbero deprimere le assunzioni in un periodo di scarsa crescita occupazionale, le restrizioni ai contratti temporanei introdotte dalla riforma sono state rilassate da un decreto recentemente approvato dal governo”. Decreto che approda oggi al senato per la discussione degli emendamenti. Chi lavora, invece, può lamentarsi dello stipendio.
Con un salario reale medio annuo di 33.849 dollari a parità di potere d’acquisto, in calo dell’1,9% sul 2011, la penisola è 20esima sui 30 paesi di cui sono disponibili i dati. La media Ocse è superiore di quasi 10mila dollari a 43.523 dollari (-0,1% sul 2011). La Germania si posiziona a 42mila euro (+1%) e la Francia a 39.600 (+0,4%). Il calo segnato dai salari medi in Italia lo scorso anno è ancora più ampio di quello del 2011 (-1,5%). Tra il 2007 e il 2004 la flessione è dello 0,4%, una delle maggiori dell’area Ocse, dove i salari hanno in media segnato un aumento dello 0,3% nel periodo. Il costo unitario del lavoro, inoltre, dopo il calo dell’1,6% del 2011 è diminuito dello 0,5% nel 2012 contro -0,8% e -0,9% della media Ocse.
Eppure si lavora di più. In Italia calano le ore lavorate in media l’anno (1752 nel 2012, erano 1772 nel 2011), ma il tempo dedicato all’occupazione resta comunque del 25% superiore a quello dei tedeschi (1397 ore, 9 in meno rispetto al 2011). E’ una delle sorprendenti conclusioni che emergono dal rapporto Ocse, che conferma la correlazione negativa fra sistema di welfare e tempo dedicato al lavoro. Nella ricca Olanda, ad esempio, le ore assorbite dal lavoro sono appena 1381 mentre la Norvegia si attesta a 1420 ore e la Francia a 1479. Là dove la crisi colpisce più duro o il sistema sociale è meno ‘protettivo’, l’impegno dei lavoratori è superiore: la Grecia infatti si attesta a 2034 ore, il Cile a 2029 e il Messico resta al top con 2226 ore l’anno, il 60 % in più di un olandese.
Con rare eccezioni, comunque, il trend storico resta quello di una riduzione delle ore lavorate: in Italia dal 2000 al 2012 questo numero è sceso di 109 ore, mentre in Corea è calato di ben 420 ore.
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