Ecco i punti più sovversivi e dirompenti sul piano costituzionale:
1 – Il rafforzamento della funzione del dirigente scolastico – previsto in via generale fin dall’art. 2, comma 1, e poi dall’art. 7 nell’ambito delle operazioni di mobilità del personale – scardina il principio dell’imparzialità della pubblica amministrazione previsto dall’articolo 97 della Costituzione (consistente nell’obbligo della parità di trattamento nei confronti degli amministrati) rimettendo sostanzialmente alla volontà di un singolo la decisione dei criteri per la stipula degli incarichi contrattuali di durata triennale, nonché di quelli previsti per il loro mancato rinnovo.
Tra settore privato e settore pubblico esiste infatti una sostanziale differenza: essa consiste nella doverosa applicazione, nel settore pubblico, dei principi contenuti nell’art. 97 della Costituzione.
2 – Un dirigente scolastico che con “La Buona Scuola” diviene responsabile anche delle scelte didattiche e formative, come si afferma nell’art. 7, comma 1, diventa gerarchicamente sovraordinato ai docenti anche nel campo didattico, in aperta violazione dell’art. 33, comma 1, della Costituzione, che tutela la libertà d’insegnamento.
3 – L’organico funzionale delle scuole – la cui previsione il DdL affida al dirigente scolastico – può realizzarsi senza rinunciare alle competenze degli organi amministrativi sovraordinati al dirigente scolastico e sulla base di parametri obiettivi che garantiscano il principio di imparzialità. La conferma di quanto affermiamo si trova nell’art. 24, comma 1, del DdL cha abroga l’art. 50 del decreto legge n. 5 del 2012. In sostanza, viene incomprensibilmente abrogato l’articolo che prevedeva l’organico funzionale previsto dal governo Monti e che consentiva già un aumento degli organici – ma non gestiti dai singoli dirigenti – nel rispetto delle norme costituzionali e dei diritti dei docenti. Il mantenimento della norma del governo Monti consentirebbe molto più facilmente l’assunzione di un numero di docenti superiore al numero di quelli previsti per i posti vacanti e disponibili già in pianta organica.
Collegare l’organico funzionale all’aumentato potere dei dirigenti è quindi un ricatto e una mistificazione.
4 – L’art. 16 – che introduce lo school bonus – programma già entrate fiscali minori per 62,4 milioni di euro per il periodo 2016/2020, importi che potrebbero essere investiti dallo Stato nella scuola pubblica statale, piuttosto che dirottati verso privati investitori. Qualora i privati benefattori decidessero poi di finanziare le scuole private anche se paritarie, lo school bonus creerebbe addirittura un evidente onere a carico dello Stato, in violazione dell’art. 33 comma 3 della Costituzione.
5 – L’art. 17 prevede la detraibilità per le rette scolastiche; l’apposita scheda tecnica del Miur calcola minori entrate per 116,20 milioni di euro per il 2016 e di 66,40 milioni di euro per il 2017. Ancora una volta si tratta di soldi pubblici che finiscono nelle tasche dei privati, invece di essere investiti nella scuola pubblica statale. Occorre evidenziare che si tratta di risorse aggiuntive rispetto ai circa 500 milioni di euro che lo Stato destina annualmente al finanziamento delle scuole paritarie. Anche questo è un esempio di violazione dell’art. 33, comma 3, della Costituzione perché si traduce in un ulteriore onere per lo Stato a vantaggio delle scuole private anche se paritarie.
6 – L’art. 21 contiene ben 14 deleghe, pressoché in bianco, su 14 argomenti diversi, che di fatto esautorano il Parlamento dalla sua funzione legislativa sulla scuola come già è accaduto nel 2008 con la riforma della scuola superiore all’epoca del governo Berlusconi, che ha portato alla sottrazione di 8 miliardi di euro in tre anni. L’ampiezza e la vaghezza della deleghe consentirebbero al governo Renzi di radere al suolo la scuola pubblica statale nei 18 mesi successivi. Occorre evidenziare a tale riguardo che l’art. 23 del disegno di legge prevede testualmente: “I regolamenti, i decreti e gli atti attuativi della presente legge sono adottati in assenza del parere dell’organo collegiale consultivo nazionale della scuola” (si tratta del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, che si deve eleggere in fretta e furia perché il governo è stato condannato dal Consiglio di Stato per avere abolito senza motivo la funzione del precedente CNPI).
7 – In tale contesto appare provocatoria l’introduzione del voucher di 500 euro annui (art. 10) per l’acquisto di materiali inerenti la formazione e l’aggiornamento dei docenti con un costo di più di 381 milioni di euro annui, pari di fatto a uno scatto di anzianità. Meglio sarebbe stato prevedere effettivi aumenti stipendiali e il riconoscimento di specifiche deduzioni fiscali per spese di autoaggiornamento e professionali.
8 – L’art. 22 prevede, entro sei mesi dall’approvazione del disegno di legge, l’avvio delle procedure per il contratto scuola e per il contratto dei dirigenti; tra gli indirizzi della futura contrattazione sono già previste le modifiche innovative necessarie per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica e l’abrogazione esplicita di ogni disposizione contrattuale precedente. In sostanza l’approvazione del disegno di legge equivale alla fine della contrattazione che dovrà semplicemente adeguarsi alla presa d’atto del nuovo modello autoritario di scuola e limitarsi a ratificare disposizioni contrattuali attuative e coerenti.
Per dignità sarebbe meglio a quel punto abolire la contrattazione. Altro che mantenimento degli scatti… non c’è in realtà alcuna norma nel testo che ne garantisca il mantenimento, semplicemente non se ne parla.
9 – A questo punto, chi nutre ancora qualche dubbio circa i reali propositi democratici del Governo, legga l’art. 24, comma 3, che testualmente recita: “Le norme della presente legge sono inderogabili e, a decorrere dalla data di entrata in vigore, le norme contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge, sono inefficaci”.
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