Un padre, una madre lontana e la buona scuola

Sono un marito.

Sono un padre.

Sono soprattutto una persona che ama la propria donna.

La propria moglie.

Quella che rappresenta la più bella figura di questa società.

L’insegnante.

Colei che insegna a leggere e scrivere.

Sublime ruolo che vede nella sua importanza, tutta la forza del suo primordiale concetto.

L’educazione.

La prima educazione.

I primi gradini che richiedono quella sottile sensibilità, tale da rendere facile ogni nuovo passo in avanti.

Accogliendo gli sguardi teneri e a volte timorosi, di quelle piccole nobili anime che si donano in un incontrastato e inconsapevole amore, quasi avessero piena certezza del ruolo affidato dal destino a questa singolare figura.

Un padre non dovrebbe.

Un marito non dovrebbe mai cedere dinanzi a nulla.

Soprattutto in questo momento.

Dovrebbe essere una persona sempre forte e pronta ad affrontare ogni cosa che la vita famigliare gli presenta.

Ma sono esausto e ormai con poche forze.

Mi resta solo questa voglia di scrivere per manifestare a chi può essere il mio prossimo vicino, di come prendo coscienza sempre di più che qui ormai i conti non tornano.

Il menefreghismo dilaga e soprattutto l’incompetenza disarmante e vergognosa avvia ogni soggetto all’unica cosa possibile anche se immensamente non condivisibile.

Ignorare e scaricare il problema, minimizzando il tutto nella definizione di un banale errore di una macchina informatica, che definisco tale in quanto ho pieno rispetto del termine algoritmo.

Ignorare.

Come totale diniego nel trovare una soluzione ad un errore commesso.

Ad una errata interpretazione del ruolo degli insegnanti nella scuola e della loro collocazione dopo anni di sacrifici.

Qui viene meno tutto proprio da chi dovrebbe pretendere serietà.

Da chi ha l’obbligo di intervenire e sanare l’errore commesso.

Disfatta sociale che vede annientare e distruggere quella complementare figura di madri, figlie, sorelle con la loro vita privata con tutta la sfera dei propri problemi personali e familiari.

Contorno a volte scontato ma comunque previsto.

Soffro ad ogni sua lacrima versata.

Ad ogni ruga di tristezza che resta invisibile solo a chi non ci sta dentro, in questa storia terribile.

Alle sue reazioni.

Ai suoi sfoghi che cerco solo di fare miei cercando in me delle colpe che mi solleverebbero solo per la presa di coscienza che un colpevole da incriminare esiste davvero.

Ma basta poco.

Basta pochissima lucidità che ritrovo guardando i nostri due figli piccoli per rendermene conto che non sono io quel colpevole.

Ma proprio chi si permette il lusso di interpretare la carta fondamentale dove si sancisce che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia, in quel maledetto articolo 29 che ormai non leggo più come una volta.

Sono troppe le cose che vorrei scrivere come tante sono le situazioni da rappresentare, ma qui si tratta di giustizia.

Mia moglie è stata lontana da casa dodici anni.

Ha girato in lungo e largo la Val Trompia.

Ha preso freddo.

Mi ha chiamato di sera per dire che il pullman sul monte non era passato e che lei e la sua amica erano coperte di neve fino alle ginocchia per una tempesta abbattutasi proprio come questa storia.

Poi l’arrivo dei fratelli con quella luce blu che riflessa sulla neve, creava un paesaggio surreale da osservare sulla strada del ritorno a valle.

Del ritorno nel focolare della propria casa, per raccontarsi con altre colleghe nell’unica stanza in comune, ricordandosi che domani bisogna comunque alzarsi alle cinque, per risalire il monte e tornare dai bambini.

Mia moglie ha insegnato a leggere e scrivere per tanti altri lunghi anni anche nell’hinterland della capitale, anche li affrontando non poche difficoltà e stringendo i pugni perché fiera del fatto che un giorno saremmo tornati a casa.

Quella casa che ha goduto in serenità per un solo anno quando qualcuno poi, dietro la gioia del passaggio di ruolo, ha nascosto l’incompetenza di tutta questa vicenda, peraltro ponendo tutti di fronte a quell’out out.

O dentro o fuori… “dicevano”.

E cosa avrebbe dovuto fare una persona?

Qui non si rifiuta o si accetta solo per il posto fisso!

Questa è una nobile missione e non solo un posto di lavoro.

Questo concetto deve restare chiaro a tutti.

La dipendenza dall’insegnamento è cronica quando hai insegnato qualcosa a qualcuno.

Quando impiegata nel sostegno a dei disabili, pur non avendo la specializzazione, gli ha visti sorridere mentre le loro madri versavano lacrime di gioia per i passi compiuti dal loro sfortunato ometto.

Il mio amore è stato segnato a vita.

Come poteva mai rifiutare a se stessa un simile “ruolo” sociale?

E poi oggi si chiede di avere corsi specifici o quant’altro, ignorando che dinanzi alle emergenze della scuola stessa, mia moglie ha detto ci sono!!

Ferma nella convinzione che davanti al bisogno dei bambini, e non della scuola, lei doveva per forza di cose esserlo.

Io voglio venga esaminata solo la mancanza di meritocrazia.

Conosco di persona alcune colleghe di mia moglie che hanno meno della metà dei suoi punteggi e sono vicine a casa.

Non scendo nel particolare di leggi speciali o altro e nemmeno oso fermarmi sulle precedenze determinate dal ministero, che ritengo solo denigranti per maestre che sono tali anche se non vincitrici di concorso.

Anzi nello specifico il paradosso di dover accettare che in una scuola vicino al mio paese arriva una maestra con esperienza zero, ma vincitrice di concorso, mentre mia moglie spedita a mille km da casa.

Mia moglie oggi è nuovamente triste e il mio piccolo di due anni e mezzo mi chiede: ”che cosa ha la mamma”?

Gli racconto che una persona grande grande ha deciso che la mamma deve chiedere ad un Giudice se gli da ragione del fatto che una persona cattiva la vuole mandare via di casa, ma devo spiegare che anche il Giudice però ha tante e tante cose da fare.

Nel particolare del ricorso della mamma quel giudice, pur trattandosi di un decreto di urgenza per figli minori di tre anni, ha dovuto rimandare sempre l’udienza fino al colpo finale che vede l’ennesima convocazione per il 19 luglio di quest’anno ancora maledetto per noi.

Praticamente quando i giochi saranno finiti, almeno per l’anno scolastico e per l’eventuale prossima mobilità.

Non ce la faccio più piccoli miei.

Papà non sarà triste come la mamma, ma nel suo cuore qualcosa adesso preme forte.

Non so che fine farà questa lettera, e non immagino nemmeno quanti la leggeranno nel giusto verso o quanti avranno avuto la pazienza di arrivare fin qui.

Dove mi devo fermare.

Dove devo correre a portare a letto i piccoli, mentre lei piange.

Piange nell’ennesima notte di tristezza legata a chi cerca solo di far valere i suoi diritti e ottenere soltanto quello che gli spetta.

Arrivo piccoli miei.

Arrivo.

Ti abbraccerò ancora tutta la notte sperando che il buon Dio almeno sia giudice di questa brutta storia.

Vi chiedo scusa a tutti…

…te compresa amore mio.

 

Tratto dal blog http://mufenete.blogspot.it/2017/03/un-papa-e-la-buona-scuola.html?m=0

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