I lettori ci scrivono

Un particolare progetto in classe per stimolare l’attività degli alunni

Erano gli anni della riforma che avviava l’autonomia scolastica quando abbiamo cominciato a pensare al clima di classe, all’ adulto educatore, agli stili di apprendimento, a studiare e a osservare, a raccogliere dati e a confrontarci; in quegli anni non “esistevano” i DSA, i BES, le competenze di cittadinanza, le prove Invalsi.

Eppure, memori di una lezione che sembrava dai più dimenticata, ne riprendevamo l’insegnamento, convinte che la co-costruzione di un gruppo classe coeso e collaborativo, al quale assicurare un livello minimo di serenità, fosse la premessa irrinunciabile per poter lavorare e accompagnare gli studenti all’apprendimento. Ovvio, ci veniva detto, fuori e dentro la scuola. Talmente ovvio che ancora oggi viene dato per scontato tanto da pensare che il gruppo si autoeduchi al rispetto, all’ascolto, alla cooperazione e che, quando ciò non si realizza, sarà sufficiente l’intervento dell’esperto, esterno alla classe, per sanare problematiche relazionali e conflittualità.

“Non siamo mica degli psicologi?”, lamentano i docenti di qualsivoglia disciplina; “ Quando viene a mancare la famiglia, cosa può fare mai la scuola?” è il mantra nei Consigli di Classe. E poi: “Dedicare ore dell’orario curriculare a un qualcosa che non è contemplato nei contenuti di nessuna disciplina, non sarà una perdita di tempo? Non arriverà ai ragazzi un messaggio ambivalente?”.

Oggi lo chiamano team building, e l’adulto educatore ha assunto le vesti del coach, e scambiare i saperi tra compagni è la pear education ecc. ecc. Nel susseguirsi delle riforme che, dalla tassonomia di Bloom (ieri) alla valutazione delle competenze ( oggi), continuano ad interpellare una professionalità a forte rischio di burn out, ci siamo spesso trovate a pensare che, in quel gruppo di ricerca-azione creato all’ IRRE di Mestre nel lontano 2001, il lavoro pensato e scritto, provato in classe e confrontato, avesse un sapore, come dire, anticipatorio e che differenziare, personalizzare, capovolgere la classe ( v. flipped classroom), mettersi in una relazione di dialogo con le nuove generazioni è oggi ancora possibile, in virtù di quella ormai lontana esperienza di ricerca-azione  e di nuove direzioni.

Ma andiamo per passi. Uno alla volta.

Il progetto/laboratorio “Clima di classe” mette a sistema una serie di pratiche quali il circle time, l’assunzione di responsabilità attraverso incarichi con diversi livelli di complessità, l’assegnazione del compagno di banco tramite sorteggio, lo scambio del biglietto gentile, il lavoro cooperativo, la scrittura automatica e metacognitiva. Premessa madre è che non può esistere apprendimento all’interno di un gruppo se mancano  serenità,  fiducia reciproca, ascolto di sé e dell’altro, e che sia quindi necessario accompagnare la rete relazionale del gruppo classe affinché le dimensioni dell’accoglienza, dell’appartenenza e della responsabilità possano integrarsi nella costruzione di un linguaggio valoriale comune e condiviso, tale da permettere la sfida dell’apprendimento, individuale e di gruppo.

Cardine del progetto è la parola COME e le attività vengono messe a sistema proprio in virtù della complementarietà delle dimensioni sopra indicate.

Le finalità di ogni singola pratica si intrecciano reciprocamente in una scansione di tempi  che richiede attenzione nell’applicazione delle diverse metodologie, diverse per ogni singola attività..

Ed ora qualche accenno alle finalità e ai tempi:

Il cerchio: Per apprendere il “messaggio io”, per parlare insieme ed essere ascoltati i merito a qualsiasi argomento la classe proponga; per conoscere, applicandole, le regole base della democrazia, per ascoltare; per mediare conflitti;

gli incarichi: per scoprire le proprie capacità, per assumersi delle responsabilità graduali e volontarie, per vivere insieme le regole; per costruire appartenenza;

Il lavoro a coppie: per provare a lavorare in modo cooperativo, per conoscersi nella concretezza del fare, per scoprire diversi stili di lavoro e di apprendimento;

il cambio banchi e il biglietto gentile: per evidenziare nell’altro le parti migliori, per costruire la propria identità serenamente, per apprendere i modi della gentilezza, per comprendere il senso dello scrivere, per costruire un pezzetto di Cultura di Pace;

La scrittura di sé: per trovare tempo e spazio per riflettere su di sé, sui propri comportamenti e sulle proprie scelte, per capire come si apprende e valutare se stessi, per il piacere di scrivere, per essere riconosciuti e apprezzati costruendo così la propria identità, per crescere consapevoli ed esperti. Per stare bene con se stessi e con gli altri.

le riflessioni metacognitive: per diventare consapevoli del proprio stile e conoscere quello degli altri, per rinforzarsi nel proprio processo di apprendimento e di crescita;

le pause: per far riposare la mente, per distendere e rilassare il corpo, per provare a gestire brevi spazi-tempi in autonomia.

Per quanto riguarda la scansione temporale si possono dare solo dei parametri largamente indicativi in quanto ogni gruppo classe, ogni spazio, ogni relazione li determina di volta in volta a seconda anche delle esigenze degli istituti e dei singoli Consigli di Classe. L’esperienza da noi condotta ci fa muovere dentro questa cornice:

CERCHIO:1 h alla settimana per il periodo dedicato all’accoglienza, poi 1 ora ogni 15 gg. o secondo le necessità e le urgenze.

INCARICHI: inizialmente 1 ora a settimana poi ogni 15 -20 gg.

COPPIE: ogni 1/2 settimane biglietto gentile alla fine del turno 1 h; poi ogni 15 gg da adattare a seconda dell’andamento delle dinamiche del gruppo classe.

SCRITTURA AUTOMATICA:10/20 minuti alla prima ora tutti i giorni o all’inizio di ogni attività didattica o secondo le esigenze.

Negli anni, all’interno del progetto, la scrittura ha trovato via via una sua forma sempre più precisa e bipartita: da un lato una scrittura più ‘oggettiva’ quando si scrive il diario di bordo (per es. del circle time), una scrittura che si vuole avvicinare a quella del verbale del mondo degli adulti, a volte leggermente strutturata, per accompagnare più agevolmente ad un compito non semplice dove ascolto e sintesi si intrecciano fittamente. Dall’altro un piccolo insieme di pratiche di scrittura di sé, la cui storia e organizzazione si sono evolute a partire dalla formazione autobiografica della Libera Università dell’Autobiografia.

Scrivere un biglietto gentile per il compagno che si lascia, scrivere il ‘come ho lavorato’, scrivere alcune righe di scrittura automatica vuol dire prendere confidenza con una scrittura che principalmente ci cura, diventa strumento per conoscere se stessi, per costruire piccoli pezzi della nostra identità di persone e di studenti. Non una sterile pratica che si deve ‘fare’, o un esercizio di stile in funzione di un giudizio e di una valutazione; la scrittura così strutturata, sistemata in delle scatole preziose, diventa per ciascuno uno strumento personale e dà il meglio di sé.

La scrittura automatica stempera le preoccupazioni, le ansie, le paure ma anche svela pensieri strani, allegri, profondi, stimola la fantasia e la fa giocare con la serietà, aiuta a stare nel qui e ora, a trovare uno spazio di senso accudito e accolto. Il momento della condivisione rinforza la possibilità di essere come si è, con le proprie indecisioni, le proprie lune storte, la propria giocosità: nessun giudizio solo ascolto. E’ scoperta recente e piacevole che la scrittura automatica sveli, se condotta con delicatezza ed equilibrio, quella classe segreta che sempre più difficilmente riusciamo a conoscere, quindi essa si integra perfettamente con l’attività del cerchio e dei biglietti gentili.

Molto diversa eppure sempre scrittura di sé, la scrittura metacognitiva apre una possibilità di riflessioni, osservazioni e ricerca infinita.

Al termine di una attività ( individuale o di coppia o di piccolo gruppo) si dedica un po’ di tempo a scrivere ‘come ho /abbiamo lavorato’; con semplici esempi, con una strutturazione leggera i ragazzi e le ragazze vengono accompagnati ad esplorare la loro mente, a porre attenzione a quello che accade mentre lavorano. La cosa dapprima desta stupore, persino qualche bella resistenza, ma in poco tempo diventa una abitudine così consolidata e gratificante da venire richiesta se l’insegnante se ne dimentica.

Anche in questo caso il tempo della condivisione, della lettura ad alta voce rinforza, permette, a chi ha qualche dubbio o difficoltà, di appropriarsi delle pratiche di altri, di farle sue, di provare così altre strategie. Il proprio stile di studio prende forma attraverso lo strumento scrittura. Scrivere aiuta a rallentare, a pensare, a pensarsi in un contesto educativo sereno coerente accogliente a costruire identità.

Si ritorna anche alla costruzione della propria identità di persona, non solo di studente, con i Biglietti Gentili. Qui la scrittura si arricchisce di tante sfumature e diventa una pratica complessa. Non diviene importante solo il significato della comunicazione, il contenuto ma anche la forma. Dalla grafia, alla scelta dei supporti, all’uso di strumenti scrittori diversi, alla scelta del lessico, alle tecniche stilistiche le più diverse ( similitudini, metafore, rime, modelli poetici, piccoli racconti, …); con la forma di un gioco si arriva a toccare i temi più ardui della relazione: la gentilezza, l’ascolto non giudicante, il riconoscimento delle qualità dell’altro, la giusta distanza dall’altro. La scrittura viene donata, alla scrittura viene dedicato un tempo, la scrittura viene ascoltata e conservata dentro un diario, dentro un astuccio, dentro al cuore.

Le osservazioni sistematiche sui comportamenti, sulle relazioni e sui modi della comunicazione sia durante le attività sia durante le pause ( ricreazione, mensa, etc.etc.), sociogrammi a scelta ( di Moreno o altri), un eventuale questionario con domande aperte ai genitori, agli alunni, ai docenti danno le informazioni sufficienti per una valutazione di efficacia del progetto.

A nostro parere il progetto offre un solido ancoraggio per tutti gli ordini di scuola, opportunamente adattato all’età degli studenti. Sperimentato nella scuola superiore di primo e secondo grado ci sembra interpretare, proprio grazie ad una sua profonda coerenza, le indicazioni europee in merito alle competenze di cittadinanza e alle life skills; ma ancor di più la domanda delle domande: Prima della sua fine Rabbi Sussja disse:” Nel mondo a venire non mi si chiederà:- Perché non sei stato Mosè? Mi si chiederà:- Perché non sei stato Sussja?” (M. BUBER, Storie e leggende chassidiche).

Cristina Guarnieri

Paola Marchesin

I lettori ci scrivono

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