Ovunque nel mondo il nazismo si fa strada, ancora una volta. Non sempre coi propri simboli, bandiere, segni di riconoscimento. Più spesso lo si riconosce fatica, mimetizzato in seno alle democrazie, o nei regimi autoritari mascherati da democrazie. I giovani devono imparare a riconoscerlo, per potersene difendere e salvare il proprio futuro. La Scuola, in questo riconoscimento, è fondamentale.
Il nazismo si riconosce anzitutto dalle menzogne (come tutti i totalitarismi, stalinismo e maoismo compresi). Si diede il nome di “socialismo nazionale” per confondere i lavoratori, all’epoca in massima parte socialisti, con promesse di un più ampio socialismo. Copiò i colori dall’anarchismo. Preso il potere, trucidò quanti chiedevano l’adempimento delle promesse. Ma era solo l’inizio. Anche Mussolini aveva promesso mari e monti: la repubblica, la più ampia libertà di stampa, la più totale democrazia. Giunto al potere, rafforzò monarchia, tirannide, plutocrazia. Il 30 aprile 1945, trascinato il mondo nell’orrore, Hitler si sparava vigliaccamente alla tempia. Il 1° maggio l’ammiraglio Karl Dönitz ne annunciava la morte con le seguenti parole: «Wehrmacht tedesca, camerati. Il Führer è caduto. Fedele alla sua grande idea, di salvare dal bolscevismo i popoli d’Europa, ha impegnato la sua vita ed ha trovato la morte sul campo. Con lui è scomparso uno dei più grandi eroi della storia tedesca».
Come affermato anche da Hannah Arendt, il totalitarismo necessita di menzogne per tenere a bada la realtà e sopravvivere. La menzogna nazifascista più grande fu la negazione del valore di ogni singolo essere umano. Dopo tre millenni di storia occidentale, imbevuta della civiltà greca e romana, dei valori giudaico-cristiani, dell’umanesimo, del rinascimento, dell’illuminismo, questa negazione ha generato la peggiore tragedia della storia. I tedeschi e troppi europei vennero convinti che moltissimi umani fossero superflui, e perciò annientabili. Ne conseguì lo sterminio — scientificamente, industrialmente perseguito — di migliaia di malati e omosessuali, di mezzo milione di sinti e rom, di almeno sei milioni di ebrei. Male radicale (parola kantiana), assoluto, perché privo di “motivi umanamente comprensibili” (come Arendt stessa scrisse in Le origini del totalitarismo). Un progetto politico basato sull’irrealtà, in lotta con la realtà (la relazione col proprio prossimo nella libertà di agire) e con la sua percezione da parte dei propri concittadini.
La disumanizzazione dell’Altro imperversa oggi più che mai, e parte dalla disumanizzazione di se stessi. La propaganda dell’ISIS (il sedicente “Stato Islamico”) chiama “santi” i “martiri” che sterminano le folle facendosi saltare in aria. Martiri ed “eroi” da venerare e imitare: non è forse lo stesso format dei nazisti? Negli ultimi giorni della guerra, tra le rovine di Berlino, non furono moltissimi i dodicenni arruolati dai nazisti per morire davanti ai carri armati russi in nome di un malinteso eroismo?
L’ISIS giunse a venerare personaggi come Muhammad Jassim Abdulkarim Olayan al-Dhafiri (1988-2015), terrorista e criminale kuwaitiano con cittadinanza britannica, meglio noto come Jihādi John the beheader, “il tagliatore di teste”, specializzato in decapitazioni di “infedeli” perpetrate davanti alle telecamere.
Lo stesso disprezzo per la dignità umana, lo stesso odio contro l’altro da sé, che caratterizza il nazismo. Le medesime menzogne in difesa del crimine e dell’omicidio. Jihādi John veniva dipinto come eroe dal cuore generoso, tenero con gli orfani e coi camerati feriti, cui “caritatevolmente” cedeva per una notte la propria schiava. Il primo attributo di Allah nel sacro Corano è “misericordioso”: ebbene, la propaganda islamista arriva a definire misericordioso il tagliateste Jihādi John, perché avrebbe testimoniato la fede quando è rimasto ucciso da un drone.
Lo stesso Hitler, d’altronde, faceva sfoggio di vegetarianismo, esaltando il proprio amore per gli animali (e i bambini!).
Saluti nazifascisti parte — oggi sdoganati da noti miliardari e politicanti qua e là per il pianeta — è il modo di pensare nazista ad esser tornato di moda, ben al di là del folclore. Dopo 40 anni di predominio ideologico neoliberista, infatti, prevale l’idea che il povero, lo sfruttato, il derelitto, il reietto, siano tali perché se lo meritano: fede in linea con la convinzione calvinista della predestinazione. Secondo la quale Dio, nella Sua infinita onniscienza, ha stabilito per motivi imperscrutabili chi si salva e chi viene sommerso: «e più non dimandare», direbbe Dante, che pure credeva nel libero arbitrio e nella libertà umana.
Pertanto — secondo il calvinismo — se sei miliardario è perché Dio ti ha benedetto. Lo Stato deve lasciar fare le forze animali del capitalismo, perché intrinsecamente giuste. Se poi queste stesse forze animali sbranano i deboli, meglio: la natura stessa funziona così. Concetto menzognero, come hanno dimostrato biologi ed etologi, perché le specie si evolvono più nel mutuo appoggio che nella reciproca distruzione, e nessuna specie vive con lo scopo di distruggerne altre: anzi, sopravvivono soprattutto le specie che sanno collaborare, aiutandosi reciprocamente, come la specie umana ha fatto sin dalla preistoria.
Intanto però, imbevuto di quella menzogna, il neoliberismo smantella da mezzo secolo le ultime tracce di stato sociale: il welfare, creato per rimediare alle storture che avevano determinato ingiustizie, rivoluzioni e guerre.
Tra mentalità neoliberistica e nazifascismo c’è molto in comune. Trump, Musk, Milei, Thatcher, Pinochet, Reagan, Erdogan, Putin, Orbàn, Netanyahu e compari di tutto il mondo dell’ultimo mezzo secolo, non a caso, pur diversissimi, si somigliano molto. Per questo il mondo si ritrova come a fine ‘800, in una situazione caotica assai simile a quella che portò due guerre mondiali, mentre gran parte dell’umanità non ha di che sopravvivere, e la catastrofe climatica incombe su tutti.
L’ottica dominante coincide con quella disumana del nazismo in molti tratti: bisogna imparare a riconoscerli per potersene difendere. In questo lavoro di autodifesa, è ancora una volta la Scuola lo strumento fondamentale. Chi insegna non può non esserne consapevole.
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