La nostra intervista a Raffaele Iosa sulla ripresa della scuola dopo l’emergenza sta suscitando un ampio dibattito.
L’idea di affrontare la riapertura con un grande patto educativo territoriale che coinvolga scuola, enti locali, mondo delle associazioni e del volontariato sembra essere una scommessa difficile ma certamente interessante da discutere.
Sul tema interviene con una sua nota Silvana Borgese, già dirigente scolastica a Reggio Calabria
Abbiamo dovuto convertire uno scenario distopico in realtà quotidiana. Privato della sua socialità fisica, soprattutto pubblica, il paesaggio antropico si presenta oggi stravolto nella sua struttura di base. Possiamo davvero continuare a pensare con le categorie di sempre?
L’ispettore Iosa, appassionato interprete della pedagogia militante, sa, come d’altronde tutti noi, che da questa storia non se ne può uscire da soli. Da soli si potrà sopravvivere, certo, ma non continuare a fare storia. E i nostri bambini, ragazzi, giovani, hanno diritto alla storia.
Che sarà però una storia decisamente al ribasso se non sapremo aiutarli ad accedere al mondo con sentimenti che non siano solo la paura o l’economia di sé stessi.
Nel nuovo patto educativo territoriale prefigurato da Raffaele Iosa la scuola è chiamata a fare la propria parte, superando, nell’emergenza, steccati e consolidate temporizzazioni. Si accuserà anche me, come ho letto in qualche commento all’intervista, di avere la testa volta all’indietro, di essere ferma a quella mistica della missione con cui è stata per molto tempo raggirata la docenza?
Beh, la riesumazione di vecchie concettualità difficilmente propizia la corretta interpretazioni di prospettive nuove, ma se in questo momento il sentimento della “missione” dovesse rendersi necessario, perché medici, infermieri, commessi del supermercato sì e la scuola no?
E tuttavia, per sgomberare il campo, evidenzio che a suo tempo, così come Iosa, ho fatto sindacato confederale, e dovrei dunque sapere di cosa parlo quando tratto di lavoro contrattualizzato, essendomi familiare il termine” dialettica”, ma, se non ricordo male, anche la parola “solidarietà”.
Il Cielo dunque non voglia che, seguendo una certa logica, possa avvenire che un medico si rifiuti di soccorrerci perché non perfettamente equipaggiato o contrattualizzato rispetto all’emergenza coronavirus…
Torno dunque a Raffaele Iosa, che consapevole dell’urgenza di mettere in campo e fare interagire le risorse di un’intera comunità, va abbozzando in questi giorni mappe di rimedi/azioni, seppur provvisorie e da configurare poi istituzionalmente, sempre che le condizionalità imposte dal coronavirus lo consentano.
E così mi capita ancora una volta che l’intellettualitá fattiva dell’ispettore Iosa mi riconduca alle prassi e all’ottica innovativa di quella regione chiamata Emilia Romagna, che proprio il buon funzionamento delle istituzioni – scuola e servizi per l’infanzia compresi – e la diffusa pratica civica dei propri abitanti, hanno trasformato in un modello da imitare internazionalmente.
A prescindere dal quel pur reale polimorfismo territoriale obiettato a Iosa circa l’agibilità della proposta (ma non c’è il rischio poi di legittimare la differenziazione regionale?), c’è da osservare che rifiutare oggi un serio confronto, eludendo la necessità di stare dentro una prospettazione di rimedi proponibili, comporta rischi di non poco conto.
Potrebbe capitare che l’attuale presente storico sia ancora, per alcune desolate contrade come la mia, nient’altro che una riduttiva e logorante ripetizione del passato.
Sarebbe, se questo avvenisse, l’ulteriore, sconcertante incremento del divario tra una comunità attiva, che mette avvedutamente in relazione tutti i propri sottosistemi con gli accadimenti collettivi, ed una cittadinanza non sincronizzata che si perde irrimediabilmente dietro la retorica della propria separata autoconsistenza.