Oggi la scuola italiana versa in una complicatissima impasse: l’unico modo per superarla può essere il ripensamento dell’organizzazione del lavoro, affinché le mansioni, arricchite di contenuti intelligenti, stimolino le motivazioni dei loro dipendenti, perché diano del proprio meglio per il bene di tutti. Il fatto di eseguire continuamente ordini e di svolgere un compito per niente creativo ma solo esecutivo non sviluppa di certo la fantasia e la creatività dei soggetti coinvolti; anzi, ne comprime l’indipendenza fino a svilire la capacità di ricerca a disadattamento di ruolo.
Forse, l’assunzione dei doveri automatici in progressione ha messo in cantina il piacere intrinseco della ‹‹schola››, che, alla latina, o alla greca, stava appunto ‹‹per tempo libero››, cosa che trovo opportuno qui rammentare. Era proprio quello che lasciava covare il pensiero, declinandolo al buono e al giusto, liberamente e munificamente, senza appesantirlo di tutti quei macigni, cui siamo abituati dall’inizio dell’anno scolastico fino alle boccheggiate del torrido giugno, eh già!
Dovremmo mettere in cantiere un po’ di memoria storica, allora, per riprendere dai piedi la nostra nobilissima istituzione, ma ai Capi evidentemente le nostre fondamenta non interessano più, mentre i Sindacati solo ora languono. Meglio tardi che mai – Potius sero quam nunquam, qualcuno potrebbe dire con una fiammella di speranza tra le mani. Che dire: ‹‹poca favilla gran fiamma seconda››, chiudendola con un verso di Dante, nell’augurio che la nostra scuola, dal baratro in cui è sprofondata, possa risalire la china fino a risorgere a nuova vita. Speremus…
Francesco Polopoli