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Un primato di cui faremmo volentieri a meno: l’Italia guida la classifica europea dell’obesità infantile

Ne avevamo parlato all’inizio di quest’anno. In quella occasione, secondo la Società Italiana di Pediatria, il nostro Paese si collocava ai primissimi posti in Europa nella non invidiabile classifica dell’obesità infantile.

 A distanza di circa quattro mesi, il Sole 24 Ore pubblica un report del Centro studi e ricerche sull’obesità dell’Università di Milano, secondo cui l’Italia avrebbe “migliorato” la sua posizione in classifica: prima in Europa per numero di bambini obesi. La notizia, nell’ambito di un convegno organizzato a Roma il 13 aprile scorso, apre scenari inquietanti per la popolazione adulta dei prossimi anni e per il nostro Sistema Sanitario Nazionale.

Ricordiamo che sovrappeso e obesità sono due stati diversi, misurati attraverso l’indice di massa corporea (BMI), che oggi ciascuno può rapidamente verificare online grazie un semplice strumento offerto dal Ministero della Salute.

L’obesità, come sappiamo e come ci ricorda il Sole 24 Ore, è responsabile oggi del 35% dei tumori, del 40% degli infarti e del 95% dei diabetici di tipo 2. Mangiare tanto e male, inoltre, riduce l’aspettativa di vita di 8 anni per l’uomo e di 6 anni per la donna.

Occorre, dunque, che la società si attivi per invertire questa tendenza a occupare i primissimi posti di una classifica che non è certo meritoria. La scuola si è naturalmente impegnata a fondo in questi anni nell’ambito dell’educazione alimentare, soprattutto nei primi gradi dell’istruzione, perché è da piccoli che si impara a effettuare scelte consapevoli e, soprattutto, è sin dai primi anni dell’infanzia che si impara una verità di fondo: mangiare bene non significa rinunciare al gusto. In una società che ci invita, ci spinge, e ci esorta surrettiziamente ad acquistare merendine, dolci, snack e cibi preconfezionati, gli innumerevoli progetti scolastici attuati in giro per l’Italia hanno fatto sì che sempre più adolescenti, oggi, preferiscano portarsi a scuola una mela o un’insalata invece che acquistare una pizzetta o una brioche al panificio di fronte.

Come, ad esempio, il progetto concepito per le scuole dalla Città di Torino, “Dal cibo si impara”, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte e altri enti locali: suddiviso in varie sezioni – Mangiare in salute, mangiare in sicurezza, mangiare informati, cibo e territorio, cibo e sostenibilità, io e il cibo – il percorso è di tipo esperienziale e sensoriale. Come si legge nella brochure di presentazione, quando si parla di gusto non si può escludere la componente del “piacere”: un cibo può essere sanissimo ma se sgradevole nessuno lo mangerà. Il piacere, inteso non solo nell’accezione di “buono” ma anche riferito alla piacevolezza dell’esperienza legata al cibo, può stimolare il processo di conoscenza e di curiosità che attiva l’apprendimento. I nostri sensi affinati attraverso esperienze sensoriali e gustative diventano la porta preferenziale di accesso al cibo e strumento di educazione alimentare.

Ci sembra la strada giusta – associare cibo e piacere – per lottare contro il cibo spazzatura, facendo in modo che i più giovani acquisiscano una maggiore consapevolezza alimentare.

Gabriele Ferrante

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