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Un prof: “Alcuni colleghi legati solo allo stipendio. Non serve il concorso, bisogna fare un colloquio e monitorare i docenti”

Un docente calabrese che insegna al Nord, fermandosi un attimo a riflettere sulla scuola italiana, ha scritto una lunga lettera sulle varie problematiche che ha riscontrato, pubblicata su Lacnews24. Ciò che emerge è una sua visione dei colleghi alquanto particolare.

Lo sfogo

La lettera aperta si apre così: “Non mi piace la scuola, non funziona”. Ed ecco alcuni stralci: “Non esiste rigore, non esiste una linea guida, non esiste niente. Non è colpa dei ragazzi, siamo noi, alcuni di noi, purtroppo. Io non so cosa leghi ad oggi alcuni insegnanti alle loro cattedre, forse lo stipendio”.

“Frustrazioni, rabbia, rancore e paura di vivere, questo è stato l’insegnamento di alcuni, altri, molti, condannati nel circolo vizioso della continuità senza stimoli”. A suo avviso ogni docente dovrebbe domandarsi “oggi ai miei allievi racconterò la vita e li farò innamorare della cultura o dirò a loro quanto siano frustrati e depressi. Non serve più il classico concorso, bisogna fare un colloquio e monitorare l’insegnante affinché possa garantire realmente una formazione. Ma un docente ancorato a terra, può davvero fare una lezione su come insegnare a volare?”.

Nella lettera c’è davvero tanta amarezza: “Mi dispiace che le istituzioni compongano sulle rime politiche dei sonetti malsani dediti all’ ignoranza. Mi dispiace per voi cari allievi miei, vi chiedo scusa al posto loro per non aver regalato nulla che rimanga indelebile nelle vostre vite”, ha aggiunto.

“Lavoro da poco e sono già stanco”

“Lavoro da poco e sono già stanco, in sei anni ho visto abbastanza, pensavo di essere forte e menefreghista, freddo e distaccato. La scuola non è questa, credo ancora che qualcosa possa cambiare, deve cambiare e le istituzioni devono comprendere bene che non siamo merce di scambio, siamo stanchi, vogliamo stabilità, vogliamo essere docenti e vogliamo educare i nostri ragazzi. Fatecelo fare. Scusate se tra qualche anno, quando ci porterete i vostri figli noi saremo là, felici della nostra infelicità, illudendoci che ancora una volta tutto possa migliorare”, ha concluso.

“Spero che la lettera faccia aprire gli occhi ai giovani, alle nuove leve e ai ragazzi che vogliono intraprendere questa carriera che, nonostante per alcuni rimanga nell’assoluta precarietà, è comunque una grande esperienza di vita. Stiamo parlando di persone, sono i nostri figli, e se non sono nostri, ci sono stati affidati da chi spera che ancora oggi le istituzioni funzionino”, ha commentato.

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Redazione

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