“Il 57% dei docenti italiani valuta bassa o medio-bassa la propria conoscenza dell’inglese: solo il 18% ha investito in esperienze all’estero o collaborato con docenti di altri Paesi. I dati sono contenuti nella ricerca 2015 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, promossa dalla Fondazione Intercultura e presentata il 2 ottobre al ministero dell’Istruzione”.
Anche se non avevamo dati statistici precisi, era noto che una buona parte degli insegnanti e dei professionisti della scuola (anche dirigenti), benché forniti di laurea ed altri titoli di tutto rispetto, non possono vantare nel proprio curriculum una conoscenza dell’inglese accettabile. E c’è una ragione: non tutti coloro che hanno un’età superiore ai quarant’anni hanno avuto l’opportunità di studiare tale lingua”. Infatti, fino ad un decennio fa, non era garantita nelle scuole dell’obbligo la possibilità di studiare l’inglese in quanto si doveva mantenere l’organico per altra lingua (di solito il francese). Lo stesso dicasi per le secondarie di secondo grado e per l’università.
Per cui è stato possibile pervenire all’insegnamento, vincendo concorsi, senza avere alcuna nozione di inglese e di informatica. Non può sfuggire il disagio di detti docenti che si trovino ad insegnare le varie discipline previste dagli ordinamenti vigenti ad alunni che invece sono cresciuti con diverse e più favorevoli opportunità in tali campi. Forse è il caso di prendere in considerazione l’utilizzo di alcuni professori di inglese perché mettano a servizio dei colleghi che ne sentono la necessità una parte delle proprie ore di insegnamento. Nei prossimi giorni i dirigenti scolastici ed i collegi dei docenti debbono approntare il così detto PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) ed ogni scuola potrà richiedere da tre ad otto insegnanti da utilizzare per le proprie esigenze. In tale occasione un docente di inglese in più potrebbe essere doppiamente gradito.