Affinché questo flagello del Covid-19 non passi invano, i genitori, gli alunni, il personale, gli insegnanti e i dirigenti non devono più permettere che l’andazzo che finora ha contrassegnato la nostra scuola continui come se nulla fosse successo.
E non solo perché improvvisamente il mondo variegato dell’istruzione si è trovato ad affrontare situazioni inusitate prima, come la didattica a distanza o l’inventarsi di strategie di comunicazione del tutto nuove, a partire dai rapporti coi dirigenti, con le famiglie, con gli alunni e con la stessa amministrazione, ma anche perché si è abbondantemente capito che l’approssimazione non paga, gli sprechi non sono più tollerabili, gli ingarbugli burocratici e tecnici, insieme alla baraonda di leggi e leggine devono finire in omaggio alla trasparenza e al buon governo della Nazione e della scuola.
Crediamo infatti che dal giorno dopo il rientro in classe, a conclusione, speriamo al più presto, di questa pandemia i docenti e le famiglie pretendano scuole pulite e igienicamente inappuntabili, bagni con sapone e carta igienica non più portata da casa, insieme alle risme per la fotocopiatrice.
E pretendano pure aule con non più di 20 alunni, smantellando, e tenendole come ricordo insopportabile, le cosiddette classi pollaio che sono state per troppo tempo uno di quegli imbarazzanti esempi di malgoverno diffusi dall’Italia del G7.
E i dirigenti, per le loro competenze, battano alle porte del Miur per avere nel loro organico personale non più precario, con titoli raccogliticci o addirittura del tutto sprovvisti, per fare fronte all’emergenza educativa; in altre parole l’istituto delle supplenze, dopo le crisi manifestatesi per ignoranza dei sistemi pretesi dalla didattica, sia semplicemente bloccato, ricorrendovi solo per conclamati e inderogabili bisogni, senza farne dunque una prassi abulicamente accettata.
E questo in modo particolare per i docenti di sostegno, affinchè siano titolari di corsi con competenze chiare e cristalline, perché questi alunni non si lascino più a loro stessi o alla buona volontà di professori particolarmente sensibili.
Ma si pretenda pure che periodicamente, come avviene con tutte le altre professioni, si svolgano corsi di aggiornamento seri, con tecnici seri e con strumenti didattici all’avanguardia.
E poi che tutti gli esiti dei progetti dei corsi finanziati dai Fse, dai Pon e dai Por, mirati al recupero della dispersione o alla formazione di determinate competenze degli alunni, siano monitorati, valutati e confrontati proprio perchè non passiamo più consentire che ci siano sprechi o che quei soldi servano solo per arrotondare gli stipendi, ma lasciando i ragazzi al palo.
Il contagio ha messo in luce, anche se tutti lo sapevamo, carenze strutturali a cui neanche l’emergenza ha saputo dare risposte, anzi le ha acuite, mentre attendiamo pure di sapere e di conoscere in modo definitivo l’anagrafe e la mappa definitiva dell’edilizia scolastica, della stabilita degli edifici di cui possiamo o no fidarci, o poggiati in quelle zone a rischio sismico o idrogeologico.
Non pare più tollerabile, dopo i tagli che hanno messo in luce le falle della sanità e le altre dell’istruzione (mancanza di collegamenti, di personale specializzato, di strumenti tecnologici, di attrezzature idonee ad affrontare le emergenze ecc.), ritornare in classe, quando ciò avverrà, facendo finta che non sia successo nulla e che tutto possa riprendere esattamente come prima.
Bisogna portare appresso questo ricordo e questa emergenza, perché, se dovesse ancora un’altra volta ripresentarsi, speriamo mai naturalmente, un cataclisma come questo che stiamo vivendo, che ci trovi almeno preparati, non già con armi speciali, ma con quelli forniti più semplicemente dal buon senso e dalla ragione “preventiva”.
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