Sei insegnanti su dieci denunciano di vivere un costante stress lavorativo: questo quanto riportato da una ricerca condotta da Cisl Scuola Lombardia condotta su duemila insegnanti secondo quanto scrive Fanpage. “Tra le principali cause dello stress: un carico di lavoro eccessivo, la mancanza di supporto, il numero eccessivo di studenti per classe e le relazioni difficili con i genitori”, spiega Francesco Girolimetto, Direttore del Centro Studi BiblioLavoro.
Una docente bresciana, insegnante di lunga data, si è sfogata raccontando ciò che ha vissuto sulla sua pelle, l’evoluzione della scuola negli anni. Al primo posto delle fonti di stress, la docente ha messo il peso della burocrazia. “Abbiamo una burocrazia lenta, pesante, che al posto di facilitare il lavoro di noi insegnanti, lo complica. Un esempio lampante è la storia dei voti e dei giudizi: una storia infinita. Ogni ministro ha cambiato il sistema di valutazione. Un anno è capitato persino che nel primo quadrimestre dovessimo applicarlo in una maniera e nel secondo quadrimestre in un’altra. Tutto questo offusca la passione per l’insegnamento e intacca la voglia di andare avanti”.
Ma non si tratta soltanto della burocrazia. Ad aggravare la condizione di stress influisce anche il sovraffollamento di bambini nelle classi. “La Lombardia è una delle regioni con la classi più numerose. Non ci sono mai meno di 25 bambini per classe”, ha raccontato ancora. “Inoltre, si aggiunge la difficoltà di dover gestire, per mancanza di personale, più di un bambino disabile per classe, al quale è stato riconosciuto il diritto di poter usufruire dei benefici previsti dalla legge 104, per i quali vale anche il comma tre, l’articolo di gravità. Classi così sono difficili da gestire da soli, servirebbe più personale e una maggiore attenzione verso la diversità di ciascuno”.
C’è poi un dato che, secondo lei, rimane sommerso all’opinione pubblica e che presenta le stesse problematicità. “Si tratta degli alunni ai quali è stato riconosciuto il diritto di poter usufruire dei benefici previsti dalla legge 170, i bambini con disturbi specifici dell’apprendimento. Sono tantissimi, e sempre di più. Per ognuno di loro serve seguire un PDP (piano didattico personalizzato) ad hoc e per colpa del sovraffollamento scolastico spesso questo è difficile da garantire”.
Lo stesso problema si presenta con i NAI, gli studenti NeoArrivati in Italia dall’estero: “Prima di Natale è arrivata una bambina di nazionalità cinese che non sapeva una sola parola di italiano. Siamo stati costretti a comunicare attraverso lo smartphone, utilizzando Google Translate. Le scuole non organizzano dei corsi linguistici per i NAI. Ci sarebbero le ore a disposizione dell’organico potenziato quando non viene utilizzato per le supplenze, ovvero di quell’organico di cui la scuola può predisporre in base alle proprie esigenze didattiche. Questa è risorsa su cui non si può contare in maniera continuativa perché non si sa mai come e quando verrà utilizzata. Questo è un problema che, purtroppo, a volte impedisce di garantire la stessa qualità dell’insegnamento per tutti i bambini”.
Anche la relazione con i genitori, di cui ha parlato molte volte lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, è causa di forte stress: “Le famiglie sono molto problematiche. I genitori sono molto fragili, forse più dei propri figli. Anni fa, l’insegnante veniva ringraziato per il suo lavoro, per il lavoro che faceva. Adesso i genitori sono diventati gli avvocati dei propri figli. C’è proprio un clima conflittuale, come se l’insegnante fosse la controparte, non il complice nel processo di educazione del figlio. Sembra l’antagonista e non la persona che può aiutare le famiglie nello sviluppo, nella crescita e nel benessere del bambino”, ha spiegato. “Una volta, una mamma ha messo un registratore nello zaino del figlio perché sosteneva che venisse maltrattato, ma la cosa era inconsistente. Per cose come questa, quando si viene accusati ingiustamente, molti colleghi hanno perso il sonno e la voglia di continuare a insegnare. Per non pensare a ripercussioni peggiori. Io non sono mai stata aggredita, ma ho molti colleghi a cui è successo”.
“Siamo un popolo di pedagogisti. Tutti sanno cos’è meglio”, ha concluso: “Si vive con il pregiudizio che quello che viene fatto abbia sempre un secondo scopo. Per questo, noi insegnanti la scuola non la lasciamo mai. Con la mente ci resti, anche se dalla scuola esci”.
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