Il quotidiano La Stampa ha pubblicato una lettera di una docente precaria che si è sfogata contro il sistema scolastico, che a suo avviso riduce il grado di umanità di coloro che vi lavorano, che quindi non riescono a trasmettere passione ed entusiasmo ai discenti.
“Sono una docente di scuola primaria, precaria. Non nasco con la ‘vocazione’: ho lavorato nel privato per 10 anni occupandomi di comunicazione. Approdo nel 2019 alla scuola con grande entusiasmo, ma non riesco ad
adeguarmi ad un sistema svilente e farraginoso”, ha esordito. Ecco il testo integrale del messaggio:
“Mi pare evidente che alla base ci sia una concezione della cultura ed educazione come qualcosa di secondario; nella nostra epoca del fare, l’essere risulta una gran perdita di tempo. Sono arrabbiata, avrei voglia di mollare e fare altro e se riuscirò lo farò, ma intanto voglio dire la mia. Il degrado culturale in cui siamo immersi con casi di cronaca sempre
più terribili è figlio anche di uno svilimento della scuola, vista solo come luogo di mero passaggio di informazioni, non come luogo privilegiato per un’educazione emotiva e sociale”.
“Non è solo della famiglia la colpa ma di tutta la società, che spinge sulla performance, sulla competizione, sui risultati e annulla completamente l’importanza di coltivare una propria individualità. La scuola con questi algoritmi che depersonalizzano qualsiasi processo, annullano differenze e necessità e mettono i bisogni di alunni, famiglie e docenti in ultimo piano”.
“Si riempiono le scuole di personale scontento, costretto a rimbalzare da una scuola all’altra senza logica, recidendo legami e relazioni costruite a fatica e basati su equilibri precari, si rendono fragili bambini e ragazzi che già lo sono. Io temo che non ci sia alcun pensiero dietro o, peggio, che il pensiero sia quello di smantellare lentamente la fiducia nell’istituzione scolastica e, se questo è l’obiettivo siamo davvero vicini al goal. Io per prima vacillo. Vorrei che fosse chiaro che questi non sono problemi che riguardano solo chi lavora nella scuola ma riguardano tutti coloro che vivono nella società, mi piacerebbe se al netto delle piaggerie e delle lamentele fini a se stesse si aprisse davvero un dibattito costruttivo”, ha concluso la donna.
Insomma, la docente se la prende con l’algoritmo che regola le assunzioni dei docenti, con la società che svilisce il ruolo della scuola, con la poca fiducia nell’istituzione dei genitori. Il suo è uno sfogo che certamente ricalca il pensiero di altri docenti, alcuni dei quali ci hanno scritto di recente.
Un nostro lettore ha definito l’algoritmo un “meccanismo scorretto, molto crudele e pieno di contraddizioni“; un’altra lettrice ha inviato una lettera alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara in merito al meccanismo dell’assegnazione delle cattedre, giudicato da lei completamente inadeguato e portatore di ingiustizie.
Qualche giorno fa il giornalista e maestro Alex Corlazzoli, in occasione dell’inizio dell’anno scolastico, ha parlato di personale infelice: “Sono più di quindici anni che faccio questo mestiere e non ho mai sentito un collega dire: ‘Che bello rivedersi. Ho voglia di tornare a scuola’. La verità è che nessuno vuole bene alla Scuola. E’ oggi considerata non come una comunità, non come un mestiere che ti dona l’opportunità di crescere insieme a dei bambini e a dei ragazzi; non un luogo dove ridere, dove gioire, dove sognare, dove immaginare. Tutt’altro. Oggi nella maggior parte dell’Italia si svolgerà il ‘rito’ funebre del collegio docenti: nella maggior parte dei casi il preside parlerà da solo, farà una sorta di ‘omelia’, stilerà la lista dei problemi (‘Mancano i docenti di sostegno’; ‘Non abbiamo i bidelli lì’; ‘Non abbiamo gli spazi là’); magari ricorderà che lo sciopero è meglio non farlo cercando di intimidire il gregge. Nulla di più”.
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