Il primo articolo della legge, scrive Linkiesta.it., è: “Per cyberbullismo si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione e si intende altresì qualunque forma di furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica”
E infatti, secondo una ricerca Ipsos realizzata per Save the Children, nel nostro Paese almeno due ragazzi su tre considerano il cyberbullismo “la principale minaccia che aleggia sui banchi di scuola, nella propria cameretta, nel campo di calcio, di giorno come di notte”.
Nel 38% dei casi – si legge nella relazione che accompagna la norma – arriva a compromettere il rendimento scolastico. Nel 65% riduce il desiderio di frequentazione sociale, altre volte finisce per comportare una serie di conseguenze psicologiche, non ultima la depressione.
In ogni caso, e affinché il disegno di legge non sia preso alla leggera: “Per il 72 per cento dei ragazzi intervistati, il cyberbullismo rappresenta la maggior minaccia del nostro tempo”, peggio dunque della tossicodipendenza e delle molestie da parte degli adulti.
E ancora, per sottolineare la gravità del fenomeno, una recente indagine del Miur svela che tra i giovani osservati, “il 12,5% riconosce di aver utilizzato i social network per diffondere messaggi offensivi o minacciosi nei confronti di coetanei”, ma sono addirittura l’8,1% delle ragazze e il 13,6% dei maschi ad ammettere di avere “umiliato” altre persone, diffondendo sul web materiali offensivi o diffamatori. Uno scenario in grado di allarmare qualsiasi genitore: uno studente su dieci – continua l’indagine – dichiara di aver subito la diffusione di immagini e informazioni personali senza il suo consenso. Sono addirittura il 16% le ragazze che “dichiarano di essere state vittima di insulti, aggressioni verbali e minacce”.
Il documento depositato al Senato stila una speciale classifica delle “diversità” più colpite.
Dalla disabilità (31%), all’abbigliamento non convenzionale (48%).
Eppure al centro delle attenzioni dei cyberbulli finiscono più spesso, talvolta con esiti tragici, il supposto orientamento sessuale (56% che arriva al 62% per i preadolescenti maschi), la timidezza (67%), e l’aspetto estetico (67%).
Quattro, infine, le tipologie di violenza:
il furto di e-mail, profili o messaggi privati per pubblicizzarli senza il consenso della vittima;
minacce per posta elettronica ed sms;
creazione di gruppi “contro” su facebook per prendere di mira qualcuno;
e l’illecito più diffuso: la persecuzione della vittima attraverso il suo profilo su un social network.
Ma nel documento c’è pure scritto: “gli episodi di bullismo “virtuali” possono essere più dolorosi di quelli reali. Perché l’offesa e la denigrazione hanno, per chi li subisce, un’amplificazione immediata, che non si cancella nel tempo”.
Ecco dunque il motivo della norma elaborata dal Pd e le fasi degli interventi, nelle quali sono introdotti: una legge con specifiche lezioni di educazione all’utilizzo dei new media – con modalità e obiettivi analoghi agli interventi di educazione stradale – destinate alle scuole secondarie di primo e secondo grado;
appositi corsi di formazione per il personale docente.
Ma sono previste anche maggiori tutele per la dignità della vittima, mentre ai genitori di chi subisce atti di cyberbullismo viene garantita la possibilità di chiedere “al titolare del trattamento” l’oscuramento o la rimozione di tutti i dati del minore diffusi senza autorizzazione. Passate le 24 ore, “l’interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al garante per la protezione dei dati personali”.
Nello stesso tempo è stato istituito presso la Presidenza del consiglio dei ministri il tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo che entro sessanta giorni dovrà preparare un piano di azione integrato per contrastare il fenomeno e redigere un codice di autoregolamentazione rivolto “agli operatori che forniscono servizi di social networking e agli altri operatori della rete”. Solo i fornitori di servizi di comunicazione elettronica – così li definisce il disegno di legge – che aderiranno ai progetti elaborati dal tavolo tecnico, potranno ottenere un apposito “marchio di qualità”.
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