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Una “mancia” di 26milioni di euro per le scuole italiane

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Nel corso dell’esame del decreto legge n. 35 sul pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni la Commissione Bilancio ha approvato un emendamento che da molte parti è stato interpretato come un segnale di apertura e attenzione nei confronti del mondo della scuola.
Ma vediamo con precisione di cosa si tratta.
Il decreto 35 prevede il trasferimento alle Amministrazioni periferiche dei fondi necessari per onorare impegni di spesa già assunti nei confronti di privati e imprese.
La copertura finanziaria verrebbe in larga misura dalla emissioni di nuovi titoli di debito pubblico (20miliardi di euro) e in misura molto marginale (poco più di mezzo miliardo) con una riduzione lineare degli stanziamenti per i diversi Ministeri previsti dalla legge finanziaria 228 del dicembre scorso.
Il decreto prevede per il Ministero dell’Istruzione una “sforbiciata” di 64,5 milioni euro per il 2014, 22milioni dei quali già predeterminati da altre norme: quindi il taglio effettivo previsto è pari a 42,5 milioni, così suddivisi: 26milioni per il settore istruzione, 16milioni per l’università e mezzo milione di euro per la ricerca.
L’emendamento approvato dalla Commissione Bilancio stabilisce molto semplicemente la cancellazione di questa sforbiciata (che, per dire la verità, è cosa modesta se soltanto si pensa che – giusto per fare un paragone – i 26milioni di euro riferiti all’istruzione rappresentano il 2% dell’intero ammontare delle risorse per il fondo di istituto).
Non c’è dunque nessuna restituzione di risorse alle scuole e men che meno un incremento delle stesse. Insomma, l’emendamento, pur apprezzabile in questi tempi difficili, rappresenta più che altro un intervento a costo quasi zero per raffreddare un po’ le polemiche e le proteste.
Per dare un po’ di ossigeno alle scuole occorre ben altro che impedire un ulteriore taglio di 26milioni di euro.
 
Un’ultima annotazione: per ora è stato approvato soltanto un emendamento in Commissione, l’intero decreto legge dovrà ancora essere esaminato dalle Assemblee di Camera e Senato e quindi non è neppure detto che, alla fine, venga accolto dal Parlamento.