Una Pasqua di sangue

Questa passerà alla storia come Pasqua di sangue. L’abbiamo appreso increduli. Giovedì santo, a Garissa, in Kenya, i miliziani islamici hanno attaccato il campus dell’università, dividendo studenti e professori in base alla domanda: Sei musulmano o cristiano? 147 si sono definiti – coraggiosamente! – “Cristiani”. E sono stati decapitati. In una macabra sequenza che riconduce la mente alla barbarie di tempi remoti. E’ così. Gli avvenimenti, talvolta, superano l’immaginazione.

Ma questa cronaca agghiacciante (non sempre presentata col giusto rilievo dai media) ormai continua da troppo tempo e rischiamo di farci l’abitudine. Ogni giorno, in Pakistan, Siria, Iraq, Africa, “Cristiani perseguitati, crocifissi e decapitati – ha affermato il Papa nella Via Crucis al Colosseo – sotto i nostri occhi e spesso con il nostro silenzio complice”.

Siamo di fronte ad una persecuzione sistematica e planetaria contro i Cristiani. Secondo il “Pew Research Center” di Washington, i cristiani sono discriminati in 139 Paesi, ovvero in circa il 75% dei Paesi ufficialmente riconosciuti. Offese, minacce, emarginazioni sui luoghi di lavoro, espropri, uccisioni di massa. L’Isis infierisce anche sui bambini. Stuprati, torturati, sepolti vivi, crocifissi.

C’è un confine anche alla malvagità, un limite oltre il quale la mente umana non è più capace di comprendere e la coscienza collettiva non riesce più a rielaborare i messaggi, a ritrovare un equilibrio. E’ accaduto con la Shoa. Mentre i nazisti commettevano le più disumane crudeltà è come se operassero fuori dalla realtà, in uno stato onirico. Erano convinti che quello che facevano fosse inverosimile e che il mondo non ci avrebbe creduto.

Di fronte a quanto sta accadendo, tre cose vanno sottolineate. Prima, un’informazione mediatica non proporzionale all’atrocità delle stragi. Seconda, una specie di “sindrome da dissociazione” per cui molti cristiani si rifiutano di ammettere quello che sta succedendo, per pigrizia e quieto vivere. Terza (ed è la più importante) una inconscia “scissione” culturale fra Occidente e Cristianesimo. E’ come se, dentro di noi, si agitasse una domanda. Ma cultura occidentale e Cristianesimo sono necessariamente un tutt’uno? Ammesso pure che il cristianesimo costituisca “il” o “un” nucleo fondamentale della nostra civiltà, è possibile costruire un domani basato sul superamento di esso?

Molti stanno già rispondendo, non con le parole o col pensiero, ma con la vita. Una cultura post-cristiana c’è già e tanti vi si identificano. 

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