Chi cerca di approfondire le caratteristiche della Scuola di Barbiana, leggendo gli scritti di don Milani e le testimonianze di chi ha condiviso quella straordinaria esperienza, scopre ben presto la sua aderenza alla realtà vissuta dai ragazzi: “Quando il programma vien suggerito da quello che succede intorno a noi non ci si annoia, la scuola diventa scuola di vita e la vita diventa occasione di scuola”, scrive Adele Corradi nel suo libro memoir Non so se don Lorenzo.
Quando questa emergenza sarà passata, ogni insegnante di lettere che volesse accogliere l’insegnamento di don Milani potrebbe proporre agli studenti del biennio e del triennio delle superiori la lettura delle parti dei Promessi Sposi che parlano del diffondersi della peste , delle conseguenze e delle reazioni degli uomini rispetto alla paura del contagio, paragonandole all’epidemia del corona virus che si è diffusa in tutto il mondo e che ha colpito particolarmente il nostro paese.
Scopriremo forse così, come dice Calvino, che “il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura dell’attualità” e potremo trarne insieme ai nostri studenti tanti motivi di arricchimento della nostra umanità, riflettendo sulle emozioni, sui meccanismi di difesa e sulle risorse che abbiamo riconosciuto in noi e negli altri, ma anche sulle dinamiche del potere politico ed economico e il suo rapporto con il bene prioritario della salute dei cittadini, ad esempio.
La proposta potrebbe valere anche per le lezioni on line che in questi giorni gli insegnanti stanno facendo ai loro ragazzi, lezioni che tengono sotto controllo l’ansia e rafforzano il senso di comunità e di reciproco aiuto del gruppo classe. Quando il fine di quello che si studia è chiaro, la motivazione e l’interesse rendono l’apprendimento vivo ed efficace, come i ragazzi della la scuola di Barbiana scrivono in Lettera a una Professoressa: “Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo”. E ancora “Agli svogliati basta dargli uno scopo”.
Tuttavia, lo stato di emergenza che ha costretto a ridurre le ore scolastiche e l’assillo dei contenuti da svolgere non consentono certo di “perdere tempo” su argomenti non previsti dal programma, specialmente agli studenti delle quinte che si devono preparare all’esame di stato. Ma proprio a proposito di questa incertissima eppure incombente maturità, di nuovo ci appelliamo a don Milani: “Quando la scuola è poca il programma va fatto badando solo alle urgenze”.
Lo diceva a proposito dei ragazzi che a 15 anni lasciavano la scuola per andare in officina, ma a pensarci bene la critica ad un esame nozionistico che boccia il ragazzo che non sa “ se è stato Giove a partorire Minerva o viceversa” può esserci di qualche aiuto anche nel ragionamento e nelle decisioni da prendere nei prossimi tempi. L’esame, rito di passaggio significativo al punto che chi l’ha dato lo ricorda per sempre, considerato dai più come il primo vero esame della vita, deve verificare la maturità del candidato e questa non può dipendere dal completamento del programma didattico né può consistere nella quantità di nozioni e conoscenze spiegate in classe, studiate e memorizzate più o meno a fatica.
Ce lo siamo sempre detto, ma adesso la situazione presente ci “costringe” a prendere un po’ più sul serio questo principio: la “maturità” i ragazzi la stanno guadagnando sul campo, giorno dopo giorno, come scrive Paola Calonghi sul Corriere, dimostrando senso di responsabilità e inventando mille modi per vincere la paura ed aiutare altri a farlo, scoprendo che quell’andare a scuola, magari mal tollerato e che non si vedeva l’ora che finisse, era invece una possibilità di incontro e di scoperte che ogni giorno si rinnovava e che apriva agli altri, alla cultura, alle esperienze e alle scelte decisive. Al contrario, l’esperienza di chiusura di questi giorni – tanti lo hanno sottolineato sui media e sui social – ha fatto loro capire come, benchè re-legati in casa, sono più che mai legati al mondo e all’umanità intera e come ognuno deve sentirsi “l’unico responsabile di tutto” (Don Milani, Lettera ai giudici).
Non i soldi, ma le relazioni sono la nostra ricchezza principale e i contatti virtuali valgono solo se possono ogni tanto essere confermati da uno sguardo diretto, da un abbraccio e da una bella stretta di mano, quei semplici gesti che ora ci mancano e che vorremmo riscoprire nella loro verità.
Nel caso piuttosto improbabile che si torni a scuola dopo il 18 maggio, una prima prova scritta su scala nazionale che non voglia “fare le parti eguali tra disuguali”, penalizzando chi non ha potuto con continuità seguire lezioni online e ha svolto solo un terzo dei contenuti delle diverse discipline, potrebbe far riflettere ogni studente d’Italia sul senso e sul valore che per lui ha avuto quel ciclo di studi che si va concludendo, oppure chiedergli conto della sua consapevolezza di cittadino e che cosa intenda per cittadinanza attiva; altri temi importanti sui quali sentire l’opinione dei ragazzi possono essere il valore della memoria storica e la trasmissione del sapere da parte delle generazioni precedenti, i vantaggi e i limiti dell’attuale modello economico e sociale occidentale… L’ottica da cui si inviterebbero gli studenti a guardare ad ognuno di questi possibili percorsi è inevitabilmente quella della recente e speriamo almeno in parte superata crisi della pandemia del covid19 che, come la bomba alla stazione di Bologna o il crollo delle torri gemelle, non permette a chi l’ha vissuta in prima persona di guardare alla vita e al futuro allo stesso modo di prima.
Ogni studente potrebbe poi redigere un testo da portare al colloquio orale in cui racconta la sua quarantena e che cosa ha imparato dalle lezioni del dolore e della solitudine, come ha vissuto la paura e il distacco da tutto quello di cui solo qualche settimana prima gli sembrava impossibile poter fare a meno, come ha cercato di fare la propria parte per il bene del paese, che contributo pensa di dare al dopo-virus. Rispetto alle domande sulle diverse discipline, lascerei allo studente il compito di collegarle tra loro e di individuare, dove possibile, relazioni con il contagio e i suoi effetti.
In questo modo, non accadrebbe certamente più, come in tanti altri esami è successo, che “lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro”, ma, consapevoli del proprio ruolo nel processo di ripresa che seguirà alla crisi, delle nuove competenze acquisite e soprattutto di una rinnovata umanità, gli studenti, diventati più umili, ma anche orgogliosi per aver superato un vero esame di maturità, potrebbero finalmente stringere la mano ai loro insegnanti.
Claudia Vellani