I lettori ci scrivono

Una riflessione sulla scuola: il dominio del dilettantismo

A volte ripenso ad alcuni episodi della mia adolescenza. Mi rammento di un mio ex compagno di liceo. Era dotato di vivace intelligenza, ma rifiutava il nozionismo sicché fu costretto ad abbandonare il ginnasio per iscriversi ad un altro indirizzo. Ho sempre vissuto l’ottusità dimostrata dal docente di Lettere, che era egemone, giacché insegnava Italiano, Latino, Greco, Storia e Geografia, come un insulto ed un atto iniquo nei miei confronti, quando, de facto, espulse dal liceo quello studente perspicace e sensibile, mentre gli altri, rassegnati a mandare a memoria aridi elenchi di date e di forme verbali, liste destinate a cadere nell’oblio il giorno dopo l’interrogazione o la verifica, sopravvissero a spietati riti di passaggio. 

Una volta il magister aveva reagito con un cachinno sarcastico ad un errore di questo allievo, commesso nel pronunciare un vocabolo greco. Ne ho un ricordo indelebile e doloroso. 

La scuola attuale è un guazzabuglio, ma anche in passato non era un eden: ieri era il regno dell’erudizione più sterile e polverosa; oggi l’impero dell’ignoranza e dell’ipocrisia. Le poche eccezioni non solo confermavano e confermano la regola, ma sono del tutto eccezionali e, alla fine, irrilevanti.

E’ anche il dominio del dilettantismo: come non biasimare tutti quegli insegnanti che si improvvisano “virologi” ed “epidemiologi”? Semplicemente ripetendo le affermazioni spesso contraddittorie e confuse di gazzettieri e di sedicenti esperti (veterinari, entomologi, fisici… – ma che cosa può capire un fisico di epidemie? Perché non si occupa di particelle e di interazioni fondamentali?) –  credono di poter dispensare la loro autorevole opinione su “vaccini”, esami diagnostici, misure per arginare il contagio… Non manca chi vuole dettare regole draconiane, dal basso della sua incompetenza, per il regolare svolgimento del nuovo anno scolastico.

Il fatto è che la definiamo “scuola”, ma non lo è: nel migliore dei casi, è una clinica per ipocondriaci; nel peggiore, una prigione per la mente, un luogo in cui i veri talenti sono mortificati. La definiamo “istruzione”, ma è la distruzione dell’humanitas. Di fronte all’esiziale decadenza del sistema formativo, un declino dichiarato, in primo luogo, dal livello infimo in cui è precipitata la lingua italiana imbruttita da anglicismi ed ibridi (ad esempio, “smart” working che nella lingua di Albione non esiste), diventa ozioso qualsiasi dibattito sulla didattica più o meno tradizionale contrapposta o integrata a strategie telematiche.

I pochi professori validi, ossia quelli che, in decenni di indottrinamento pseudo-pedagogico, hanno mantenuto spirito critico, curiosità ed indipendenza, dovrebbero fondare scuole sul modello degli antichi sodalizi. Resta solo da decidere quale epigrafe incidere sull’ingresso dell’Accademia. Si accettano suggerimenti.   

D. R.      

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