La scuola oggi è investita da un preoccupante fenomeno che ne mette in discussione natura e finalità: la surmodernità, vale a dire l’attivismo frenetico proprio dei tempi moderni, impresso dalle tecnologie delle comunicazioni che nella scuola si traduce in un aumento a dismisura delle attività, finendo col produrre nei ragazzi un’obesità cognitiva che ne mortifica intelligenza e creatività. La scuola è concepita da sempre sul tempo degli adulti e solo in qualche raro caso sul tempo dei bambini.
In una società dove l’imperativo dominante è la velocità e ogni cosa si misura (anche i valori?) sul metro dei soldi e delle prestazioni, la scuola dovrebbe fungere da salvifica isola, luogo di decontaminazione, per ridare respiro e tempi normali ai giovani. Dovrebbe fungere da controveleno ai mali dei tempi moderni, per controbilanciare l’inquietante deriva valoriale della società, offrendo ai ragazzi una visione della vita sana, fondata sui valori dell’essere, del rispetto dell’altro, della generosità. Pare però che per lo più essa si limiti a recepire i modelli dominanti, a essere serva sciocca dei saperi superficiali, ostaggio della società dei consumi.
In essa prevale lo spirito settario e discriminante, che pone l’accento sulle differenze tra maschi e femmine, con le individualità scoraggiate e livellate, le intelligenze umiliate e soffocate, la condizione di svantaggio penalizzata. I bambini sono anzitempo educati ad essere degli adulti, schiacciati come sono dal peso delle aspettative degli insegnanti e dei genitori; non gli si lascia il tempo per essere bambini, per vivere con spensieratezza la loro età, ma bruscamente sono introdotti a un sapere eccessivo, sterile in quanto così lontano dal loro naturale ritmo di apprendimento, ingozzati come oche da insegnanti preoccupati più di portare al termine il programma che hanno per contratto che dalle loro specifiche esigenze. Nella realtà extrascolastica sono alienati e frastornati da una mole di messaggi discontinui e frammentari così carichi di violenza da essere indicati dai sociologi causa prima delle nevrosi infantili. La scuola in questo senso deve preparare i ragazzi a fruire in modo corretto del mutevole e caotico universo mass-mediale, a elaborare e a filtrare i messaggi confusi e subdoli della pubblicità e dell’informazione non corretta, recuperando il valore della riflessione e del pensiero critico. Bisogna ridare ai bambini il loro tempo, un tempo lento che permetta loro di crescere liberamente, senza forzature e violenze, per poter giocare, pensare, per esprimere ciò che hanno dentro, per dare voce alla loro creatività e alla fantasia.
Oggi i bambini sono ancora ingessati, costretti a star fermi nei banchi per ore ed ore, quando tutto il loro essere vibra di salutare energia, di naturale entusiasmo. O.Decroly scriveva: «Non è forse un controsenso cercar di promuovere lo sviluppo del bambino condannandolo all’immobilità ed al silenzio proprio durante le ore migliori della sua giornata e gli anni più belli della sua vita?»
A che pro studiare i grandi pedagogisti, quando la scuola non fa tesoro dei loro preziosi insegnamenti?
Riccardo Ianniciello
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