[…] Con effetto da provocare turbamento e disagio negli alunni […]. “Mancavano pianificazione e contesto” . La Cassazione condanna la supplente al licenziamento, perché ha parlato di sessualità in classe.
Una sola domanda: parlare di sessualità è ancora un tabù, tutto italiano?
Comprendo la necessità di attenzione e delicatezza nelle parole da pronunciarsi, nei gesti da esprimersi, nelle foto da mostrare, soprattutto in luogo di presenze fragili e delicate come quelle dei nostri piccoli. Comprendo.
Ma NON comprendo il caos che ne deriva, sino alla decisione di licenziare, quando poi a questi nostri piccoli regaliamo un cellulare, o la possibilità di navigare su internet, cioè, diamo loro strumenti in grado di consegnare visioni distorte della sessualità e del corpo. E NON lo comprendo soprattutto se è una sentenza che al contempo evidenzia che comunque si è preso in considerazione l’ipotesi che gli alunni possano aver “ingigantito” quanto accaduto [in classe], e a cui si va ad aggiungere il fatto che due di essi avevano litigato pesantemente arrivando a utilizzare parole forti di “natura sessuale e corporale”, dunque due alunni di scuola primaria che avevano contezza della “sessualità” e “corporalità”, benché, se vogliamo, ingenua (?).
Dinanzi ad una società ove il corpo, soprattutto quello dell’altro, si trasforma in un testo su cui scrivere letteralmente una storia, su cui incidere dei simboli che appartengono alla singolare esperienza individuale o comunitaria (il branco), che scandalo è quanto accaduto all’interno di una classe di scuola primaria?
Non è questo l’ambito della difesa o dell’accusa, ma la riflessione nasce da uno sguardo altro ed oltre, su un panorama più ampio, il cui luogo è questa nostra società ove il corpo (maschile e, in particolare, quello femminile) sono semplicemente oggetto, immagine viscerale del corpo come carne umiliata e deturpata, involucro cui si affliggono violenze e soprattutto si sfogano gli istinti più bassi. Un corpo, (una sessualità), che è oggi campo di azione di un potere, quello del “maschio” (forte se in accolta), se non luogo della legittimazione del potere stesso.
Un corpo, una sessualità, che è prodotto di una comunicazione ancora più grave se si pensa che la rete sconvolge la concezione stessa del corpo, come luogo, tramutandolo in un oltre-luogo. Il corpo è mistico perché cristico, ossia cibo sacro per i fruitori dei media: “prendete e cibatene tutti”, la rete lo dissolve e lo sostiene nel suo etereo fluttuare. E così il corpo fuoriesce da sé e diviene carne, ossia materia, che ha cittadinanza in ogni dove ed entra in comunione con l’intero magma che abita il mondo virtuale (e non).
Cosa altro ci dobbiamo aspettare? Quale scandalo, e quanto ancora dobbiamo nasconderci dietro un perbenismo che si veste di tutela, quando poi chi si stringe attorno allo “scandalo” è l’attore di gesti violenti, in convinzione di autorità genitoriale, nati a difesa di una prole fragile e non pronta al mondo, anche quello sessuale, che è incontro in amore di due che esprimono in libertà il loro donarsi all’altro (da cui poi nasce la Vita)?
Mario Santoro